Da Bergamo a Palermo, passando per San Quirico d’Orcia, il coccodrillo arreda libri di preghiera e templi come simbolo dell'ipocrisia.
Siamo abituati a vederlo sulle Lacoste, famose magliette nate come indumento da tennis. Renè Lacoste, infatti, si fece disegnare dall’amico Robert George un coccodrillo, emblema della sua tenacia in
campo, quella di uno che non molla mai la presa. Il coccodrillo, in realtà, entra nell’immaginario come drago malefico, tanto da essere riconosciuto nel drago vinto da san Giorgio o da san Teodoro. Il bestiario medievale associa il coccodrillo all'ipocrisia, questi infatti, tiene rivolti al cielo occhi e fauci, come in preghiera, ma la parte inferiore della bocca rimane sepolta nel fango, cioè nei vizi. Così sono quegli uomini che ostentano un comportamento religioso, ma poi, di fatto, restano avvolti nel peccato, occultando le loro azioni delittuose. Il coccodrillo, in Italia, arreda dunque da Bergamo a Palermo molti libri di preghiera e molti templi.
A San Quirico d’Orcia, sul portale della cattedrale romanica del XII secolo, compaiono addirittura due coccodrilli a confronto. Il primo sta liberando una preda (l’anima) dalla bocca del secondo. Quello a sinistra è, infatti, un dragone positivo a servizio del bene. Che sia Cristo stesso, il quale ha sconfitto la morte come serpente appeso all’asta, lo dicono i fiori e i frutti che lo attorniano; lo dice anche il leone, posto nell’angolo sinistro del bassorilievo, che soffia sui piccoli facendoli risorgere. L’altro dragone, invece è chiaramente infernale non solo perché addenta furiosamente la sua preda ma anche per il serpente bicefalo che gli spunta dal dorso e per le due sirene simmetriche scolpite nell’angolo destro. L’espediente dei coccodrilli affrontati rimarca il senso simbolico dell’animale stesso: spesso ciò che appare come bene è male e ciò che appare come male è bene; dunque il credente è chiamato a vigilare.
Del resto l’antico detto «lacrime di coccodrillo» (dovuto alla credenza che dopo aver ingoiato le vittime il rettile piangesse per il rimorso o la cattiva digestione), nasconde questa verità: non bisogna lasciarsi attirare dalle apparenze, potremmo poi piangere amaramente sulle nostre stesse azioni.
(Questo articolo è tratto da www.avvenire.it, dove è possibile leggere l'articolo completo)
Siamo abituati a vederlo sulle Lacoste, famose magliette nate come indumento da tennis. Renè Lacoste, infatti, si fece disegnare dall’amico Robert George un coccodrillo, emblema della sua tenacia in
campo, quella di uno che non molla mai la presa. Il coccodrillo, in realtà, entra nell’immaginario come drago malefico, tanto da essere riconosciuto nel drago vinto da san Giorgio o da san Teodoro. Il bestiario medievale associa il coccodrillo all'ipocrisia, questi infatti, tiene rivolti al cielo occhi e fauci, come in preghiera, ma la parte inferiore della bocca rimane sepolta nel fango, cioè nei vizi. Così sono quegli uomini che ostentano un comportamento religioso, ma poi, di fatto, restano avvolti nel peccato, occultando le loro azioni delittuose. Il coccodrillo, in Italia, arreda dunque da Bergamo a Palermo molti libri di preghiera e molti templi.
A San Quirico d’Orcia, sul portale della cattedrale romanica del XII secolo, compaiono addirittura due coccodrilli a confronto. Il primo sta liberando una preda (l’anima) dalla bocca del secondo. Quello a sinistra è, infatti, un dragone positivo a servizio del bene. Che sia Cristo stesso, il quale ha sconfitto la morte come serpente appeso all’asta, lo dicono i fiori e i frutti che lo attorniano; lo dice anche il leone, posto nell’angolo sinistro del bassorilievo, che soffia sui piccoli facendoli risorgere. L’altro dragone, invece è chiaramente infernale non solo perché addenta furiosamente la sua preda ma anche per il serpente bicefalo che gli spunta dal dorso e per le due sirene simmetriche scolpite nell’angolo destro. L’espediente dei coccodrilli affrontati rimarca il senso simbolico dell’animale stesso: spesso ciò che appare come bene è male e ciò che appare come male è bene; dunque il credente è chiamato a vigilare.
Del resto l’antico detto «lacrime di coccodrillo» (dovuto alla credenza che dopo aver ingoiato le vittime il rettile piangesse per il rimorso o la cattiva digestione), nasconde questa verità: non bisogna lasciarsi attirare dalle apparenze, potremmo poi piangere amaramente sulle nostre stesse azioni.
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