Torrenieri: ponte del 1600 fatto saltare dai tedeschi nel 1944. Nello sfondo l'edicola di S. Antonio Abate. |
La rete di strade consentiva di raggiungere i porti, le zone metallifere dove venivano estratti e lavorati i metalli, di esercitare i commerci e di realizzare
qualsivoglia altra necessità che, anche allora, costituiva il quotidiano vissuto delle diverse comunità.
E’ ipotizzabile un collegamento viario nord-sud fra Arezzo e Roselle, Vetulonia e Populonia e, quindi, con l’Isola d’Elba; come vi sarà stata una viabilità di collegamento fra Perugia, Chiusi e le località del sud Etruria prima citate; ed anche un collegamento fra Fiesole, Volterra e la Val di Cecina e tutte interessavano il territorio senese.
La situazione viaria mutò con l’occupazione romana dell'Etruria. A differenza degli etruschi, i romani erano degli ottimi costruttori di strade e di acquedotti, per cui, acquisita l’ Etruria, la prima cosa che fecero, fu quella di collegare le città etrusche con Roma.
Il territorio senese non ne beneficiò subito, perché posto al di fuori del circuito delle importanti città etrusche.
La prima strada che unì Roma con l’Etruria, fu la Via Clodia, che raggiunse Firenze (località nella quale i Romani avevano costituito una loro importante colonia) via Chiusi, Arezzo ed il Valdarno Superiore. Dalla Clodia – all'incirca nella località dove oggi si trova Bettolle - si dipartiva una strada che la collegava a Perugia ed un’altra che la univa a Siena, per il Pian del Sentino.
C'è chi ritiene1 che fosse presente anche una strada militare realizzata in epoca imperiale, che da Montefiascone deviava per Siena, anche per consentire di raggiungere le terme di Bagni San Filippo e di Bagno Vignoni (molto frequentate dai Romani), e che questa strada non fosse altro che la via Cassia ricordata da Cicerone come preesistente all'altra via Cassia, della quale si da subito notizia.
Infatti, il censore romano Luca Cassio Longino Ravilla per rendere più veloce il percorso da Roma a Firenze, fece costruire la Via Cassia, che sino a Chiusi seguiva il tracciato della Via Clodia, per poi deviare all’altezza dall’attuale Pieve di Sinalunga e raggiungere Firenze attraverso il Chianti. Per questo la Cassia fu considerata una deviazione della Clodia.
Il tratto della Via Cassia tra Bolsena ed il territorio di Chiusi fu successivamente riveduto, corretto e restaurato dall’Imperatore Adriano, tanto che ancora oggi si parla di Vecchia Cassia e di Cassia Adrianea, nessuna delle quali, come riferiscono tutti gli storici e gli studiosi di varie epoche, sino alla nostra (vedi Guazzesi, Gamurrini, Miller, Lopes Pegna, Sterpos, Tracchi, De Grossi, Bacci, Targioni Tozzetti, Braschi ed altri ancora, oltre a letterati dell’antica Roma e agli estimi locali), seguì il percorso di quella che attualmente ne porta il nome: la ex Strada Statale n. 2, oggi strada regionale.
Un'altra viabilità importante era costituita dalla Via Cornelia 2, strada che dall’attuale Castiglion della Pescaia (l’antica Salebrum o Salebornia) attraverso le località di Roselle, Batignano, Sesta, la Val d'Asso e la Val di Chiana (forse nella zona dove è oggi situata la “Fattoria dell' Amorosa”), raggiungeva la vecchia Cassia e proseguiva per Arezzo. Il suo nome derivava da quello del Console Romano Cornelio, che si dice, fece acciottolare il vecchio sentiero etrusco che univa Arezzo con le città della costa tirrenica.
I Romani, comunque, insieme alla viabilità principale, curavano molto anche i raccordi tra questa e le località minori: cosi che la nostra provincia fu interessata anche da un tracciato che, partendo da Bolsena, univa la via Clodia con Siena, seguendo il percorso dell’attuale via regionale Cassia, che a Torrenieri, intersecava la Cornelia.
Chissà non sia stato questo il motivo che fece sorgere nel punto di intersezione delle due strade una mansione o sub-mansione romana - nucleo originario dell'attuale Torrenieri - con scopi militari o postali3, per dare sviluppo a questo servizio voluto dall'imperatore Adriano.
E’ noto come il nostro sia un territorio dal terreno difficile, sul quale è temerario costruire le strade e, soprattutto, mantenerle in efficienza.
Per questo motivo, secondo l’ antica carta geografica del Seutter4, vi fu un'epoca che per le difficoltà del terreno, il percorso del raccordo della Clodia con Siena, deviò da Spedaletto e, bypassando le attuali San Quirico d’Orcia e Torrenieri, raggiunse per un certo periodo direttamente la Val d' Arbia, attraverso l' odierna Lucignano d’Asso, Pieve a Salti e Percenna.
Con la discesa in Italia dei Longobardi, il nostro territorio fu interessato dal passaggio dell'importante via di comunicazione – oggi nota come via Francigena –, la cui prima strutturazione si fa risalire fra la fine del VI e l’inizio del VII secolo.
Fu inizialmente conosciuta come Strada di Monte Bardone, come la chiamarono i Longobardi che la crearono e successivamente come Via Pubblica, nome conferitole dai Franchi dopo la loro occupazione dell'Italia (817 d.C.).
In seguito, nel 876, venne chiamata Strada Francorum o anche Via Francesca. Dopo il periodo carolingio, oltre che con il nome di Via Pubblica fu indicata anche come Romea (990), e dalla fine del XI secolo, solo come Via Francorum o Francisca ed, infine, fu detta Francigena5.
Lo Stato Senese, per il tratto del proprio territorio, la indicò con il nome di Via Magistra Vetus6.
La Francigena o Francesca o via Romea, univa i Paesi del Nord Europa e l'Inghilterra con l'Italia e attraverso Piacenza, Lucca e Siena, raggiungeva Roma e il Sud della Penisola.
Secondo Fedor Schneider7 l'origine di questa strada sembra dovuta al fatto che Lucca, già sede del maggior ducato del paese sotto i Longobardi, divenne in seguito la capitale della Toscana. Il percorso dopo Viterbo si innestò sulla Via S. Petri, come allora veniva chiamata la vecchia Cassia. Nella formazione del percorso, più che a comodi collegamenti, fu data importanza alle numerose piazzeforti di difesa che si trovavano vicino alla strada, come quelle di Fucecchio, S. Miniato, Marturi (l'odierna Poggibonsi), Torrenieri, Radicofani, Montefiascone. Altri fatti confermeranno l'ipotesi che questa strada fu costruita accuratamente e intenzionalmente per interessi di carattere generale e per ragioni attinenti solo a quei periodi bellicosi.
In prossimità della Via Francigena, i Longobardi edificarono Abbazie e Monasteri.
All'epoca la Contea di Siena aveva nella Foresta Regia di Ceciliano una fondazione del re Longobardo, Ariperto II, che vi fondò, nei pressi di Torrenieri, il Monastero di San Donato ad Asso, in seguito identificato con il nome di San Pietro ad Asso.
In epoca longobarda questo Monastero apparteneva ai vescovi della chiesa di Arezzo, perché era situato nella circoscrizione ecclesiastica aretina della contea della Scialenga. Sotto Carlo Magno le cose cambiaronono: fino all' 833 ne fu disposto come di un Monastero di proprietà del re, finché, a seguito di un giudizio di Messi Regi, fu restituito al vescovo di Arezzo, al quale fu varie volte confermato.
Le abbazie ed i monasteri vicino alla Via Francigena vennero erette con una distanza di circa 30-35 chilometri l'una dall'altra. Così dai pressi di Acquapendente per raggiungere Callemala - località sotto il controllo dell' Abbazia S. Salvatore del Monte Amiata - vi erano 30-35 km; e da qui a Torrenieri nella cui vicinanze sorgeva il Monastero di San Donato (poi San Pietro) ad Asso, occorrevano ancora circa 30-35 km; mentre altri 30 Km lo separavano dal Monastero di Sant'Eugenio presso Siena, come pure la stessa distanza vi era fra questo Monastero e l'Abbazia di San Michele a Marturi8.
Siena per i vantaggi economici e politici che riceveva dall'attraversamento nel suo territorio di questa importante arteria internazionale, la curò nel migliore dei modi, affidando al Comune di Abbadia Ardenga l'incarico di mantenere il difficile tratto tra l'Ospedale del Galluzzo e il valico di Torrenieri, mentre la manutenzione del percorso da Torrenieri verso San Quirico d'Orcia, inizialmente assegnato dal Regno Longobardo al Monastero di San Donato (poi San Pietro) ad Asso, venne successivamente passato all'Abbazia di Sant'Antimo, sorta in epoca carolingia al limite della foresta regia di Ceciliano. Da questa località, sino ad Acquapendente la manutenzione la curava l'Abbazia di San Salvatore sul Monte Amiata.
A sud di Siena la Francigena percorreva un'area poco popolata e montagnosa, i cui territori erano divisi fra le diocesi di Arezzo e di Chiusi e nel territorio amiatino era presente la potente Abbazia di San Salvadore sostenuta da Roma, che, suo tramite, si assicurava così il controllo strategico della strada. Gli insediamenti presenti lungo il suo percorso, garantivano non solo il transito dei pellegrini e dei commercianti, ma espletavano anche strategie di politica territoriale per il controllo militare9.
Infatti, intorno al XII secolo consolidati progressivamente i luoghi di passaggio obbligati sulla Francigena, questi cessarono di essere semplici sedi di tappa per i pellegrini diretti a Roma per divenire castelli e insediamenti fortificati che garantirono il controllo della strada – attivo e passivo – consentendo il pacifico movimento degli uomini e delle merci, il transito e, se necessario, anche l'acquartieramento degli eserciti, imponendo anche pedaggi e bloccando eventuali incursioni nemiche.
Fra gli insediamenti fortificati della Francigena a sud di Siena – insieme a quelli di Lucignano d'Arbia, Buonconvento (sorto in prossimità del Ponte sull'Ombrone, dopo il 1000), San Quirico d'Orcia e Radicofani – vi fu anche quello di Torrenieri, la cui posizione era strategica anche perché, come già detto, qui la Via Francigena incrociava l'altra importante via che da Arezzo e la val di Chiana raggiungeva Roselle, Grosseto e la Maremma.
Torrenieri, prima località della Val d'Orcia provenendo da Siena, si trova nel penepiano che divide la Val d'Arbia dalla Val d'Orcia e la strada vi giungeva dopo aver affrontato la salita che permetteva di raggiungere lo spartiacque fra le due vallate10. Il percorso dal ponte sull'Ombrone fino a Torrenieri, perciò, non era molto diverso dall'attuale strada regionale Cassia. Infatti dal Ponte sull'Ombrone, superato il bivio ove sorse la Pieve di Santa Cristina, la strada voltava ad est, attraversava il torrente Serlate e da qui risaliva la vallata incontrando un hospitale in plano Galluzzo11, da dove raggiungeva il Poggio che divideva le due vallate12.
Già il nome - Torre di Ranieri o Torre Nera - fa ritenere che la sua nascita sia legata a strutture difensive. Non va dimenticato, poi, che nel percorso dal Galluzzino al Poggio di Torrenieri troviamo ben quattro toponimi Casella – due sulla destra e altre due sulla sinistra della strada - oggi case coloniche, due delle quali ancora presenti e una terza inglobata negli insediamenti della Fattoria del Poggio-Abbadia Ardenga, mentre la quarta situata poco dopo il Galluzzino è andata perduta. Sulla destra salendo al valico del Poggio, vi è anche la Castellina, mentre sulla sinistra, nel punto più alto di Torrenieri, vi è il Castellare e tutto lascia pensare che siano toponimi con funzioni di controllo e di difesa del valico, prima di scendere verso il torrente Asso.
Molti sono gli autori12 che parlando della via Francigena nel sud del senese, hanno descritto il percorso da Buonconvento a Torrenieri che si sovrapponeva a quello dell'attuale Strada Regionale Cassia, per cui risulta incomprensible la sistemazione della segnaletica apposta dalla Provincia di Siena, che, al termine della “piana” di Buonconvento indirizza i pellegrini – a piedi o con altri mezzi di locomozione – verso la strada per Montalcino, per poi farli passare per quella dei Gambocci, falsando, così, la storia e anche la geografia e infiaschiandosene di quanto deciso dall'Europa (Comunità Europea e Consiglio d'Europa) che ha stabilito che l'unico autentico percorso della via Francigena riconosciuto, è quello fatto dall'Arcivescovo di Canterbury nel suo viaggio da Roma all'Inghilterra.
Mi piace riportare quando scritto da una pellegrina dei nostri giorni, Monica D'Atti, che insieme a Franco Citti ha decritto in un libro il suo pellegrinaggio a Roma. Riferendosi al tratto Buonconvento-San Quirico d'Orcia, scrive:
«Dopo Buonconvento mi accoglie l'asfalto. Mi tocca, non ci sono altre soluzioni per arrivare a Torrenieri. La via è questa, l'asfalto che si è mangiato la vecchia strada sterrata che non tornerà più. Ma non ci sono altre soluzioni, non voglio fare il giro del mondo come mi consigliano altri, che non sono mai andati a piedi. Per loro dire 10 o dire 20 Km è uguale. Ma a piedi è differente, e molto.
Scelgo io a mio rischio e pericolo e scelgo i 10 chilometri, sapendo anche che la strada dopo un po' si allarga e accoglie i miei passi pellegrini. Nell'ultimo tratto vedo alla mia destra la vecchia strada (non sa che non è quella la vecchia strada che dal Galluzzino saliva al Poggio di Torrenieri, perché quella che vede la pellegrina è la strada di Val di Cava che passa dai Gambocci, che nulla a che fare con la Francigena – n.d.r.); quale sogno sarebbe recuperarla prima che si perda del tutto. Arrivo, comunque a Torrenieri. All'inizio del paese una cantina espone il suo Brunello. Un signore esce e mi saluta. Mi fermo e non resisto all'invito dell'assaggio».
L'attraversamento del torrente Asso, che in prossimità di Torrenieri presentava frastagliamenti degli argini, avveniva mediante ben quattro ponti, che successivamente si ridussero a tre (..et transit omnes tres pontes qui sunt ibi super flumine Assi) che nel 1306 - terminati gli interventi di bonifica della Val D'Asso da parte dello Stato Senese – furono sostituiti da uno solo, realizzato in mattoni14.
Siena volle mantenere sempre sicura la Francigena, non solo per gli animali da soma e per i carri, ma sopratutto per i pellegrini e gli altri viandanti che numerosi la frequentavano.
Fra i compiti che avevano gli ufficiali di tutte le comunità tra Siena e Torrenieri, vi era anche quello di scavare pozzi di acqua buona, coprirli con assi e sospendervi una secchia con catena di ferro; nel contempo dovavano essere consolidate le vecchie fonti, come si evince dal Breve degli Officiali del Comune di Siena del 1250, pagg. 72-73.
Con atto del 1262 il Comune di Siena fece sistemare tratti della Francigena, in particolare presso il Borgo d'Isola e Torrenieri, rialzandola, coprendo il fondo con rena e ghiaia e facendo riempire certe fosse per conservarvi la biada che era abbondante.
La via Francigena era percorsa anche da persone non affidabili e Siena, anche da questo punto di vista fece di tutto per renderla più sicura possibile.
Fu per questo che superati i ponti sul torrente Asso e arrivati ai Poggi di Peghi nel tratto che conduceva a San Quirico d'Orcia, lo Stato Senese fece mettere delle forche per impiccarvi i malfattori che compivano delitti sulla Francigena e per questo erano nominate Forche di Peghi.
Fra le figure di delinquenti che più frequentemente infestavano la via Francigena, vi erano i coniellatori15 e i giollari, gli assalitori e i rubatori e tutti erano controllati da un numero di armati, comandati dallo Scorridore delle strade che sorvegliavano la strada e in particolare Buonconvento dove erano soliti sostare, ma anche San Quirico d'Orcia, Bibbiano, Abbadia Ardenga, Monticchiello, Percena, Chiatina, Melandra, Torrenieri, Cosona e Chiusure16.
Nel Medioevo questa strada ha conosciuto anche tracciati alternativi che venivano percorsi a seconda delle condizioni climatiche ed anche politiche, ma il passaggio da Torrenieri ed il conseguente guado dell'Asso in questa località fu sempre obbligato
Fra Torrenieri e San Quirico d' Orcia, superati i ponti sul torrente Asso, vi erano due percorsi alternativi alla via Francigena: si poteva prendere la Strata Magistra Vetus, passando per i Poggi di Peghi e da qui proseguire per il ponte sul torrente Tuoma, l'Abbazia di Santa Maria a Tuoma e, giungere a San Quirico d'Orcia; oppure seguire un percorso alternativo (Stratam vetus) che passava per Celamonti, Corsignano (l'attuale Pienza), Monticchiello, Chianciano, Sarteano, le pendici orientali del Monte di Cetona, San Casciano Bagni,e si ricongiungeva al ramo principale della Francigena nei pressi dell'attuale Ponte Gregoriano, poco prima di Acquapendente17, ritenuta più sicura.
Fra Torrenieri e Celamonti, superato il torrente Asso, si incontrava la località Borgasso (nome che evoca un agglomerato di abitazioni) della quale oggi è rimasto solo il nome di una colonica della Fattoria di Celamonti: sarebbe interessante, qualora vi fossero documentazioni al riguardo, indagare di cosa veramente fosse Borgasso.
Questa variante era conosciuta anche come Strada dei Battisteri per la presenza di numerose chiese paleocristiane.
In seguito, dopo il Ponte sul torrente Tuoma, fu aperta una nuova strada verso Corsignano che evitava di passare per Bellaria e Celamonti, riducendo, perciò, la percorrenza.
Probabilmente fu su questo percorso alternativo – in particolare nel tratto fra Torrenieri e Corsignano - che il Boccaccio localizzò la IVa novella della nona giornata che narra della beffa a Cecco Angiolieri e che ha come scenario le località di Siena, Buonconvento, Torrenieri e Corsignano.
Un altro percorso alternativo era quello che dopo aver superato i ponti sull'Asso, si spostava a sud, passando per Triboli per ricongiungersi, poi, prima del ponte sul Tuoma al percorso principale della Francigena18 e su questo breve percorso Siena fece numerosi interventi migliorativi .
Terminata la Repubblica di Siena la storia di questa arteria è proseguita in epoca medicea e granducale ed ha preso il nome di Strada Imperiale Parigi-Napoli ed anche quello di Strada Regia Postale Romana.
Dopo l'Unità d'Italia troviamo due strade con il nome di Cassia: la n. 67 che da Roma, via Viterbo, Bolsena, Radicofani, Siena, Poggibonsi portava a Firenze e la n. 58 che da Roma sino a Montefiascone si identificava con l'altra per poi proseguire per Orvieto, Città della Pieve, Castiglion del Lago, Camucia, Arezzo, Montevarchi, Pontassieve, Firenze.
Dopo il primo conflitto mondiale rimarrà una sola via Cassia che da Roma conduce a Firenze, via Viterbo e Siena e prenderà il nome di Strada Statale Cassia n. 2. Verrà asfaltata nel 193319.
Con la realizzazione della rete autostradale questa via nazionale ha perduto d'importanza, tanto da servire quasi esclusivamente il traffico locale e quello turistico, ma per i suoi paesaggi che, in particolare nel senese, sono rimasti quelli dell'epoca della Francigena, suscitano un grande richiamo, in particolare per gli stranieri. Ed è per questo che l'antica strada disegnata dai Longobardi continua ancora a vivere.
(di Alberto Cappelli)
Bibliografia
- Giuseppe Fantini - “Un tratto della via Francesca e la badia San Salvatore sull'Amiata” - Bullettino Senese di Storia Patria, 1922, n. 3
- Alfredo Maroni - “Prime comunità cristiane e strade romane nei territori di Siena - Arezzo – Chiusi” - Ed. Cantagalli, 3^ edizione, 2001
- Questa seconda ipotesi è sostenuta da don Rino Pieri nell'opera “Torrenieri, note di vita religiosa e civile”.
- Matteo Seutter (1678-1756), geografo.
- Stella Uggeri Patitucci: “La via Francigena e altre strade della Toscana meridionale” Ed. 2004
- Mario Bezzini “STRADA FRANCIGENA-ROMEA. Con particolare riferimento ai percorsi Siena-Roma” – Ed. Il Leccio, Siena, 1996.
- Fedor Scheider - “L'ordinamento pubblico nella Toscana Meridionale”
- “De Strata Francigena” - Volume 6° - Centro Studi Romei, 1998
- Enrico Guidoni, Paolo Maccari (a cura di) - “Siena e i centri senesi sulla via Francigena” – Bonsignori editore, 2000.
- Mario Bezzini – Opera citata.
- L'Hospitale del Galluzzo, con annessa Osteria era ancora attivo sul finire del 1778, quando il 30 settembre di quell'anno, vi morì per malattia un certo Battista Boschirolo, di 46 anni, di Villa di Campriano della Diocesi di Crema.
- Stella Uggeri Patitucci – opera citata
- Oltre ai citati Mario Bezzini e Stella Uggeri Patitucci, sono da ricordare Giulio Venerosi Pesciolini - “La strada Francigena nel contado senese nei secoli XII e XIV” La Diana, Siena, Renato Stoppani – Guida alla via Francigena in Toscana, Ed. Le Lettere, 1996
- Mario Bezzini – Opera citata
- Coniellatori erano coloro che con inganno effettuano una truffa (il coniello) ai danni di qualcuno. Pare che costoro fossero falsi mezzani o sensali, dediti a ingannare i mercanti e i viandanti in genere.
- Daniel Waley: “Siena e i senesi nel XIII secolo” - Nuova Immagine Editrice, Siena 2003
- Giulio Venerosi Pesciolini - “La strada Francigena nel contado senese nei secoli XII e XIV” La Diana, Siena ; ASS, Capitoli 36, alla voce Torranieri
- Giulio Venerosi Pesciolini - opera citata; Mario Bezzini - opera citata.
- Edoardo Martinoni - “Via Cassia (antica e moderna), via Clodia, via Trionfale, via Annia, via Traiana Nuova, via Amerina: studio storico-topografico” - Edizione 1930.