Chi ha un castello e un vigneto-cru di Brunello mai come ora li vende bene.
VAL D'ORCIA & DINTORNI: Chi ha una tenuta a Montalcino o una villa veneta sulle Rive del Prosecco può dormire sonni tranquilli: i valori fondiari reggono la crisi e sui brand forti del vino è corsa agli acquisti immobiliari. Anzi chi ha un castello e un vigneto-cru
di Brunello mai come ora li vende bene. E’ quanto emerso in un incontro sui valori patrimoniali, organizzato dall'associazione Donne del vino a Wine2wine.
''La redditività del capitale nel settore vitivinicolo non è alta, in media l'1,4% nel 2013, rispetto all'alimentare che viaggia attorno tra il 5% e 6%, ma ci sono aspetti patrimoniali che hanno un appeal molto forte, e che vedono ottime performance nei grandi distretti vitivinicoli italiani, in primis quello del Brunello di Montalcino e poi in Alto Adige'', ha detto Denis Pantini, direttore Wine Monitor di Nomisma, sulla base di una elaborazione della stessa Nomisma sulla banca dati Aida Bureau van Dijk di un campione di 754 aziende vinicole con un fatturato cumulato di 4,5 miliardi di euro nel 2013, escluse le cooperative.
''Investire nel vino – ha detto il direttore di Wine Monitor – risulta sempre più conveniente di un capitale fermo in banca o dei Bot, con le marginalità migliori che si registrano in Veneto, unica regione in positivo (7,2%) da un confronto 2013 con l'anno precedente (5,7). Tiene bene la Toscana, seguita dalla Lombardia, mentre registrano valori passati in negativo Piemonte e Sicilia. Il rendimento del capitale non va tuttavia a braccetto con i valori fondiari che sono solidamente stabili nell'Astigiano, a Montalcino, e in Alto Adige, con valori addirittura in crescita del 14% per il Sangiovese di Romagna''.
Per preservare questo capitale occorre capire come affrontare nuove sfide, legate all'evoluzione dei consumi del vino nel mondo e in Italia, e come svecchiare o quanto meno rinnovare il comparto. ''I consumi di vino in Italia – ha precisato Pantini - sono in calo strutturale, – 30% in dieci anni, ma in forte crescita fuori dall'Europa, in particolare negli Stati Uniti e in Cina''. Ma chi è che esporta? ''La propensione all'export – si legge nello studio Nomisma - aumenta con le dimensioni dell'impresa. In particolare, le aziende vitivinicole sopra i 100 milioni di fatturato ottengono all'estero il 64% delle proprie vendite, e le loro esportazioni valgono il 30% di tutto l'export italiano, attestatosi nel 2013 attorno ai 5,039 miliardi di euro''.
Accanto al business, il vino ha diversi risvolti socioeconomici ed è leva conclamata per lo sviluppo locale. In Italia, segnala Wine Monitor, un agricoltore su quattro coltiva la vite, e il 65% dei vigneti si trova in collina e montagna, le aree difficili e più soggette a frane senza un presidio in loco. I viticoltori, dunque sono tra le prime sentinelle nella gestione del suolo e dissesto, e solo nel settore vino l'agricoltura sembra attrarre di più i giovani non ''figli d'arte''. Solo nelle aziende vitivinicole si tocca infatti quota 2,3% di giovani la cui famiglia non è mai stata dedita all’agricoltura.
(di Alessandra Moneti, tratto da www.ansa.it)
VAL D'ORCIA & DINTORNI: Chi ha una tenuta a Montalcino o una villa veneta sulle Rive del Prosecco può dormire sonni tranquilli: i valori fondiari reggono la crisi e sui brand forti del vino è corsa agli acquisti immobiliari. Anzi chi ha un castello e un vigneto-cru
di Brunello mai come ora li vende bene. E’ quanto emerso in un incontro sui valori patrimoniali, organizzato dall'associazione Donne del vino a Wine2wine.
''La redditività del capitale nel settore vitivinicolo non è alta, in media l'1,4% nel 2013, rispetto all'alimentare che viaggia attorno tra il 5% e 6%, ma ci sono aspetti patrimoniali che hanno un appeal molto forte, e che vedono ottime performance nei grandi distretti vitivinicoli italiani, in primis quello del Brunello di Montalcino e poi in Alto Adige'', ha detto Denis Pantini, direttore Wine Monitor di Nomisma, sulla base di una elaborazione della stessa Nomisma sulla banca dati Aida Bureau van Dijk di un campione di 754 aziende vinicole con un fatturato cumulato di 4,5 miliardi di euro nel 2013, escluse le cooperative.
''Investire nel vino – ha detto il direttore di Wine Monitor – risulta sempre più conveniente di un capitale fermo in banca o dei Bot, con le marginalità migliori che si registrano in Veneto, unica regione in positivo (7,2%) da un confronto 2013 con l'anno precedente (5,7). Tiene bene la Toscana, seguita dalla Lombardia, mentre registrano valori passati in negativo Piemonte e Sicilia. Il rendimento del capitale non va tuttavia a braccetto con i valori fondiari che sono solidamente stabili nell'Astigiano, a Montalcino, e in Alto Adige, con valori addirittura in crescita del 14% per il Sangiovese di Romagna''.
Per preservare questo capitale occorre capire come affrontare nuove sfide, legate all'evoluzione dei consumi del vino nel mondo e in Italia, e come svecchiare o quanto meno rinnovare il comparto. ''I consumi di vino in Italia – ha precisato Pantini - sono in calo strutturale, – 30% in dieci anni, ma in forte crescita fuori dall'Europa, in particolare negli Stati Uniti e in Cina''. Ma chi è che esporta? ''La propensione all'export – si legge nello studio Nomisma - aumenta con le dimensioni dell'impresa. In particolare, le aziende vitivinicole sopra i 100 milioni di fatturato ottengono all'estero il 64% delle proprie vendite, e le loro esportazioni valgono il 30% di tutto l'export italiano, attestatosi nel 2013 attorno ai 5,039 miliardi di euro''.
Accanto al business, il vino ha diversi risvolti socioeconomici ed è leva conclamata per lo sviluppo locale. In Italia, segnala Wine Monitor, un agricoltore su quattro coltiva la vite, e il 65% dei vigneti si trova in collina e montagna, le aree difficili e più soggette a frane senza un presidio in loco. I viticoltori, dunque sono tra le prime sentinelle nella gestione del suolo e dissesto, e solo nel settore vino l'agricoltura sembra attrarre di più i giovani non ''figli d'arte''. Solo nelle aziende vitivinicole si tocca infatti quota 2,3% di giovani la cui famiglia non è mai stata dedita all’agricoltura.
(di Alessandra Moneti, tratto da www.ansa.it)