Quella di Massimo Romeo, persona riservata, dalla cultura umanistica non comune e già Presidente del Consorzio del Vino Nobile, dove ha lasciato una traccia importante e un messaggio chiaro, è una delle cantine che hanno fatto la storia moderna dei vini di Montepulciano, potendo vantare oltre trenta vendemmie incentrate sui vitigni autoctoni toscani.
“Mio padre Fernando, classe 1927, originario di Siena, per lavoro - era avvocato, professore universitario di Diritto a ‘La Sapienza’, nonché editore di quotidiani sportivi – si trasferì a Roma, così, forse anche perché mia mamma è d’origine poliziana, vi acquistò una proprietà in campagna nei primi anni Settanta, viveva Montepulciano come pausa dal lavoro, momento di svago e relax. Ma voglio ricordare che mio padre, che ci ha lasciato nel 1995, aveva iniziato la sua carriera, dopo la laurea nel 1949, come direttore dell’Azienda Autonoma di Cura di Chianciano, un’officina di idee, un motore propulsore in cui tutta la giornata era dedicata a inventare eventi per far promozione e attirare turismo: era l’Italia del boom degli anni Sessanta, quella della ‘dolce vita’ e nella nostra cittadina termale arrivava tutto il jet set. E già in quegli anni egli credeva in Montepulciano come ‘pacchetto’, essendo vicino a Firenze, a Roma e al mare con la campagna come punta di diamante. Io ho fatto il liceo classico e ho frequentato la facoltà di Giurisprudenza, ma con scarso interesse per la materia -non ho seguito le orme di mio babbo, stranamente con sua gran contentezza - essendo già proiettato e impegnato nelle aziende agricole di famiglia: per me l’importante era vivere a Montepulciano e l’agricoltura mi aveva sempre affascinato, così fondai la mia azienda nel 1982. Allora era formata da tre grosse unità, una di circa 80 ettari a vocazione cerealicola, poi alienata nel tempo perché non avevo interesse a coltivare grano, la seconda, il podere ‘Totona’, 15 ettari praticamente in montagna a 640 metri s.l.m., dedicati all’olivicoltura, dove l’olivo trova un habitat perfetto e la terza il ‘Podere Corsica’ in località Nottola, a 330 metri s.l.m., quello più vocato alla viticultura, dove trovai tre ettari di vigna. La prima annata uscita in commercio, col marchio ‘Cantine Santa Venere’ è il 1982 con del vino trovato in azienda. In quel periodo la Comunità Economica Europea emanò una legge con lo spirito di dare la possibilità, agli agricoltori che volevano riqualificare la propria azienda, di avere un sostentamento economico per cinque anni, così smisi di coltivare il grano e cominciai a impiantare vigneti specializzati nel 1987/88, periodo di grandi lavori fino al 1991, durante i quali è stata rifatta completamente la cantina e ristrutturato il podere, che oggi è di otto ettari complessivi, di cui sei vitati. La situazione di Montepulciano negli anni Ottanta era molto problematica per l’agricoltura, ancora non si credeva nel vino, ma nell’agricoltura tradizionale e le poche aziende erano quelle storiche delle famiglie poliziane che da sempre si occupavano di vino, ma che non vivevano solo di vino. Alla fine degli anni Ottanta gli imbottigliatori erano 32, ora siamo in 76. Oggi molto per scelta e solo un po’ per caso mi trovo a condurre un’azienda di piccole dimensioni e formata, oltretutto, da due unità poderali con diverse vocazioni, a causa della natura e giacitura dei terreni. I due poderi si trovano infatti in zone opposte, da me scelte proprio per le loro diverse caratteristiche, che le rendono adatte alle due distinte coltivazioni: la vite e l’olivo. I vigneti di Nottola hanno un’esposizione ottimale per l’irradiamento solare e il terreno, di medio impasto e ghiaioso, regala ai vini che vi nascono una ricchezza e una particolarità di profumi che li rendono estremamente caratteristici, a ciò si aggiungono corposità e pienezza, che si fondono felicemente con un’eleganza tutta da scoprire negli anni”.
Grazie alle ridotte dimensioni, Massimo si occupa personalmente dell’organizzazione di ogni fase della produzione, coadiuvato da tanti anni da un professionista di valore quale Andrea Mazzoni: “I suoli di Massimo, di origine pliocenica a formazione sedimentaria, costituiti da sabbie e argille, con esposizione sud est – ci dice l’enologo – ci permettono di ottenere importanti rossi da invecchiamento, sostenuti dal concetto dell’equilibrio. Le vigne non sono state impiantate tutte contemporaneamente, le più vecchie hanno circa trent’anni e la filosofia di Massimo, che possiamo definire un purista, è di attenersi alla tradizione: pur non essendo insensibile a sollecitazioni innovative a livello tecnologico, è legato allo stile classico del Nobile e all’espressione vera del terroir, non volendo stravolgerne le peculiarità”.
Tutto ciò consente a Romeo di perseguire obiettivi che non rispondono semplicemente a esigenze di mercato, ma soprattutto seguono la sua idea e il suo progetto qualitativo con produzioni veramente limitate: “La mia idea di agricoltura è sempre stata vincolata alla sostenibilità e all’eco-compatibilità. Avendo, prima dell’amore per il vino, grande affetto per Montepulciano e la campagna dove abito, ho sempre sostenuto che sarebbe stato un controsenso usare un pesticida nello stesso prato dove corre mia figlia Rachele. Il biologico nasce di conseguenza, per me è una cosa naturale, che si è formalizzata sotto l’aspetto burocratico nel 2008. È infatti dal lontano 1990 che coltivo le mie due piccole aziende con metodi naturali, senza usare prodotti antiparassitari di sintesi, né tanto meno diserbanti, insetticidi e concimi chimici, preferendo quelli naturali. Nei mesi primaverili tutte le mie viti vengono ripulite manualmente, zappate e sfogliate, a secondo delle necessità del momento, pratiche agronomiche molto antiche e costose, indirizzate a ottenere la più alta qualità sanitaria del prodotto. Infatti i trattamenti antiparassitari possono esser ridotti al minimo proprio per il tipo d’assistenza manuale che le piante ricevono giornalmente e per il microclima particolarmente favorevole. Questa mia scelta è stata dettata da una precisa volontà di contribuire a realizzare, per quel che mi è possibile, un’agricoltura migliore, che rispetti maggiormente la Natura e si sforzi di realizzare prodotti della terra sani e genuini, preservando le ‘biodiversità’ che sono e resteranno il valore aggiunto dei prodotti italiani e patrimonio della collettività”.
E in cantina cosa succede? “L’elevazione avviene in piccole botti di rovere (25-30 ettolitri), in tonneaux e in barriques per un periodo che varia dai sei ai 24 mesi, a seconda delle tipologie dei vini, che, durante questi mesi, vengono seguiti scrupolosamente da me e dal cantiniere che, rispettandone tempi e necessità, provvede a compiere i travasi, botte per botte. Al termine dell’affinamento, ogni singola botte viene, per l’ultima volta, analizzata e valutata dall’enologo e da me, prima di decidere insieme i vari blend. Firmo le mie bottiglie e su ognuna di esse è riportato il quantitativo della produzione dell’anno per singolo tipo di vino, quale ulteriore garanzia della scrupolosa artigianalità del lavoro e a tutela del consumatore”.
Ci parli dei tuoi prodotti? “Le uve per la produzione del mio Rosso di Montepulciano provengono dagli stessi vigneti del Nobile e vengono vinificate proprio come se volessi produrre un Nobile, cercando cioè di estrarre il massimo in struttura, profumi e persistenza. La maturazione avviene per circa sei mesi in acciaio inox e alcuni mesi in bottiglia concludono il breve ciclo di lavorazione di questo vino, che amo perché mostra il lato più ‘fruttato e giovane’ del Prugnolo Gentile. Il Nobile annata proviene dalle uve di cinque vigneti, che vengono scelte manualmente e vinificate in fermentini d’acciaio, cui segue l’elevazione in tonneaux e piccole botti di rovere francese, dove questo vino acquista tutte le sue peculiari caratteristiche. Completa poi il periodo d’affinamento con alcuni mesi di bottiglia, che coincidono coi mesi caldi per affrontare meglio la sua prima estate. Mi piace portare fino in fondo l’intera fase d’affinamento dei miei vini, voglio esser io a tenerli sotto controllo finché non sono davvero pronti per le tavole, anche se ciò comporta l’uscita ritardata sul mercato. Chi conosce i miei vini, che sono molto netti, puliti al naso e profumatissimi, apprezza questa mia pratica perché sa che l’iniziale durezza si smussa in bottiglia, mentre emergono le più belle sensazioni che dà il Prugnolo Gentile con una piccola aggiunta di Colorino e Mammolo. È anche per questo che spesso il mio Vino Nobile, con una possibilità d’invecchiamento di circa vent’anni, viene collocato tra i classici di Montepulciano, cioè tra i vini che più tipicamente richiamano alla memoria le caratteristiche delle uve poliziane. La freschezza di questi vini è aiutata molto anche dalla conformazione dei terreni, vicini a un galestro: siamo su una cresta spartiacque, per cui abbiamo un sasso ricco di ferro di fiume, che dà molta freschezza ai terreni e, anche nelle estati molto calde, lo stress idrico è ridotto. Passiamo a parlare del Nobile Selezione Lipitiresco, un cru delle migliori uve nato nel 1990, che mi diverte molto produrre, è la mia idea di Nobile, un vino difficile, che aveva bisogno di un nome onomatopeicamente difficile. Ho cercato di prendere il meglio della tradizione, ma lasciando molto alla mia fantasia: per l’invecchiamento tonneaux e barriques per 18 mesi e poi tanti altri mesi in bottiglia, dai 12 ai 18, secondo le annate”.
Ma ecco arrivato il momento della ‘Riserva dei Mandorli’, nata nel 1993, un pezzo importante della storia enologica di Montepulciano... “Chi viene, come voi, a visitare la mia azienda all’inizio della primavera, ha la possibilità di comprendere inconfondibilmente perché questo vigneto si chiama dei mandorli. Le piante di mandorlo in fiore, che gli fanno corona, ravvivano il paesaggio ancora invernale, rendendolo più colorato e vivace. È solo in questo vigneto che ottengo le uve per questo Nobile, che produco solamente nelle annate particolarmente favorevoli e che si differenzia dal Nobile annata, oltre che per la provenienza delle uve, anche per il periodo di maturazione, che sale a tre anni in tonneaux e un affinamento in bottiglia di 12 mesi. Nei miei vini si sente il tipico profumo del Sangiovese che ricordo da piccolo, quando, a ottobre/novembre, passando in Via delle Cantine a Montepulciano, dove c’erano appunto le cantine di tutte le famiglie nobili, si sentiva ‘il ribollir dei tini’ di carducciana memoria, lo stesso sentore di questi vini, molto legato al frutto, che vince sul legno, infatti i vini ‘mangia e bevi’ non mi sono mai piaciuti, neanche quando andavano molto di moda”.
Ma è vero che solo a Cortona si può trovare il tuo vino-provocazione ‘L’Eretico di Toscana’? “Ho un piccolo vigneto di Merlot dove faccio questo scherzo, che propongo, come scherzo dello scherzo, solo nel mio punto vendita diretta, che ho chiamato appunto ‘Bottega dell’Eretico’, che si trova in via Benedetti, in pieno centro storico tra Piazza Signorelli e Piazza della Repubblica, dove c’è anche una selezione di prodotti della Val d’Orcia, a cui sono molto legato. Ma la cosa interessante è che, quando i clienti assaggiano questo Merlot, mi chiedono se c’è del Sangiovese, per cui si arriva a capire quanto può influire il terroir sul vitigno”.
Un discorso a parte merita il Vin Santo, un prodotto molto importante per Montepulciano, forse in Toscana il luogo dove si fanno i migliori prodotti... “ Scherziamo su tutto, ma non sul Vin Santo, per me è una cosa molto seria, pensa che lo facevo a casa ancor prima di diventare agricoltore. È l’altra mia grande passione, rappresenta un vanto personale e una tradizione di famiglia da custodire gelosamente, per pochi intenditori. La ‘madre’ che lo genera ha infatti più di 140 anni, tramandata da tre generazioni e a me affidata per custodirla gelosamente. L’antico procedimento di produzione ha inizio con la scelta scrupolosa delle uve in vigna – Malvasia 50%, Pulcinculo 30% e Trebbiano 20% – va avanti col loro appassimento nel fruttaio sulle stuoie di canna di lago per almeno 120 giorni e prosegue poi con la spremitura: il mosto ottenuto, con una concentrazione eccezionale, viene immesso in piccoli, vecchissimi caratelli da 50 e 75 litri, dove rimane per almeno nove anni, senza nessun intervento esterno, solo maturando sulla madre. Il momento della svinatura è sempre molto emozionante, ogni caratello è una sorpresa, non si conosce né la qualità del vino, né tanto meno la quantità che contiene sino all’apertura. È anche questo il fascino del Vin Santo, un mistero capace di affascinarti anno dopo anno. Il lunghissimo affinamento continua in vetro grande nelle nostre damigiane per almeno 30–36 mesi e poi va in bottiglia senza filtraggi, il che vuol dire che le circa 500 mezze bordolesi all’anno del mio particolarissimo Vin Santo non escono sul mercato prima di quindici anni: anche in questo caso ho preso una strada molto difficile, anche un po’ controcorrente, ma non posso fare diversamente, è nella mia natura, il valore aggiunto di una mia bottiglia deve essere riconoscibile. Tutti i vini vanno abbinati a qualcosa e tutti cerchiamo abbinamenti particolari, io ho sempre pensato che il mio Vin Santo è fatto per i dolci di Siena, il Panforte e il Panpepato, il connubio tra pepe, zucchero e miele si adatta a meraviglia ai sentori di questo Vin Santo, che sono molto di albicocca passita”.
Ma una parte della tua azienda è dedicata solo all’olivicoltura... “È ora di iniziare a considerare l’olio extravergine d’oliva alla stregua del vino! Come per il vino si parla di uvaggi, così si deve parlare di cultivars per l’olio e quindi di spremitura separata e di blend con percentuali diverse per dare colore, profumo e gusto peculiari per ogni produttore. Nella mia azienda ci sono tre oliveti, “del Pinzo”, “del Poggione” e de “la Villa” e vi coltivo le varietà “Frantoio”, “Moraiolo” e “Leccino”. Raccolte per brucatura a mano, iniziando subito dopo la fine delle operazioni di svinatura, vengono spremute con sistema tradizionale a macine e presse a freddo. L’olio extravergine ottenuto, con una resa media del 16-18%, viene fatto riposare alcuni mesi in orci di terracotta per esser imbottigliato appena prima di Pasqua con quasi totale assenza d’acidità”.
Ci parli della tua esperienza come Presidente del Consorzio del Vino Nobile dal 2004 al 2007... “Sono arrivato dopo 21 anni di ‘regno’ del Presidente Alamanno Contucci e la candidatura nacque più per servizio che per altro, è stato un periodo molto importante per me come arricchimento personale. Iniziai a vedere quest’esperienza come un’occasione per il Consorzio di dare una spinta propulsiva alla denominazione e lanciai una sfida, la ripresa in possesso della Fortezza, un momento importante per i poliziani, il coronamento del nostro sogno: facemmo un blitz al Parlamento Europeo nella primavera 2005 con 50 persone, una task force che andò a Bruxelles a presentare il nostro comprensorio territoriale sotto la bandiera della collettività e arrivarono i primi contributi”.
Massimo Romeo non ha mai ceduto all’idea di crescita infinita delle produzioni, ma ha sempre puntato sull’identità dei vini di Montepulciano, credendo fermamente alle loro potenzialità, producendo rossi da grande invecchiamento che si differenziassero e fossero riconoscibili, nel solco del Prugnolo Gentile e della tradizione toscana. Il tenere ben dritta la barra del timone, non tradendo mai i propri principi, lo ha portato a essere sempre molto apprezzato nei mercati tradizionali con solidi clienti storici, ormai amici da decenni.
(di Andrea Cappelli)
“Mio padre Fernando, classe 1927, originario di Siena, per lavoro - era avvocato, professore universitario di Diritto a ‘La Sapienza’, nonché editore di quotidiani sportivi – si trasferì a Roma, così, forse anche perché mia mamma è d’origine poliziana, vi acquistò una proprietà in campagna nei primi anni Settanta, viveva Montepulciano come pausa dal lavoro, momento di svago e relax. Ma voglio ricordare che mio padre, che ci ha lasciato nel 1995, aveva iniziato la sua carriera, dopo la laurea nel 1949, come direttore dell’Azienda Autonoma di Cura di Chianciano, un’officina di idee, un motore propulsore in cui tutta la giornata era dedicata a inventare eventi per far promozione e attirare turismo: era l’Italia del boom degli anni Sessanta, quella della ‘dolce vita’ e nella nostra cittadina termale arrivava tutto il jet set. E già in quegli anni egli credeva in Montepulciano come ‘pacchetto’, essendo vicino a Firenze, a Roma e al mare con la campagna come punta di diamante. Io ho fatto il liceo classico e ho frequentato la facoltà di Giurisprudenza, ma con scarso interesse per la materia -non ho seguito le orme di mio babbo, stranamente con sua gran contentezza - essendo già proiettato e impegnato nelle aziende agricole di famiglia: per me l’importante era vivere a Montepulciano e l’agricoltura mi aveva sempre affascinato, così fondai la mia azienda nel 1982. Allora era formata da tre grosse unità, una di circa 80 ettari a vocazione cerealicola, poi alienata nel tempo perché non avevo interesse a coltivare grano, la seconda, il podere ‘Totona’, 15 ettari praticamente in montagna a 640 metri s.l.m., dedicati all’olivicoltura, dove l’olivo trova un habitat perfetto e la terza il ‘Podere Corsica’ in località Nottola, a 330 metri s.l.m., quello più vocato alla viticultura, dove trovai tre ettari di vigna. La prima annata uscita in commercio, col marchio ‘Cantine Santa Venere’ è il 1982 con del vino trovato in azienda. In quel periodo la Comunità Economica Europea emanò una legge con lo spirito di dare la possibilità, agli agricoltori che volevano riqualificare la propria azienda, di avere un sostentamento economico per cinque anni, così smisi di coltivare il grano e cominciai a impiantare vigneti specializzati nel 1987/88, periodo di grandi lavori fino al 1991, durante i quali è stata rifatta completamente la cantina e ristrutturato il podere, che oggi è di otto ettari complessivi, di cui sei vitati. La situazione di Montepulciano negli anni Ottanta era molto problematica per l’agricoltura, ancora non si credeva nel vino, ma nell’agricoltura tradizionale e le poche aziende erano quelle storiche delle famiglie poliziane che da sempre si occupavano di vino, ma che non vivevano solo di vino. Alla fine degli anni Ottanta gli imbottigliatori erano 32, ora siamo in 76. Oggi molto per scelta e solo un po’ per caso mi trovo a condurre un’azienda di piccole dimensioni e formata, oltretutto, da due unità poderali con diverse vocazioni, a causa della natura e giacitura dei terreni. I due poderi si trovano infatti in zone opposte, da me scelte proprio per le loro diverse caratteristiche, che le rendono adatte alle due distinte coltivazioni: la vite e l’olivo. I vigneti di Nottola hanno un’esposizione ottimale per l’irradiamento solare e il terreno, di medio impasto e ghiaioso, regala ai vini che vi nascono una ricchezza e una particolarità di profumi che li rendono estremamente caratteristici, a ciò si aggiungono corposità e pienezza, che si fondono felicemente con un’eleganza tutta da scoprire negli anni”.
Grazie alle ridotte dimensioni, Massimo si occupa personalmente dell’organizzazione di ogni fase della produzione, coadiuvato da tanti anni da un professionista di valore quale Andrea Mazzoni: “I suoli di Massimo, di origine pliocenica a formazione sedimentaria, costituiti da sabbie e argille, con esposizione sud est – ci dice l’enologo – ci permettono di ottenere importanti rossi da invecchiamento, sostenuti dal concetto dell’equilibrio. Le vigne non sono state impiantate tutte contemporaneamente, le più vecchie hanno circa trent’anni e la filosofia di Massimo, che possiamo definire un purista, è di attenersi alla tradizione: pur non essendo insensibile a sollecitazioni innovative a livello tecnologico, è legato allo stile classico del Nobile e all’espressione vera del terroir, non volendo stravolgerne le peculiarità”.
Tutto ciò consente a Romeo di perseguire obiettivi che non rispondono semplicemente a esigenze di mercato, ma soprattutto seguono la sua idea e il suo progetto qualitativo con produzioni veramente limitate: “La mia idea di agricoltura è sempre stata vincolata alla sostenibilità e all’eco-compatibilità. Avendo, prima dell’amore per il vino, grande affetto per Montepulciano e la campagna dove abito, ho sempre sostenuto che sarebbe stato un controsenso usare un pesticida nello stesso prato dove corre mia figlia Rachele. Il biologico nasce di conseguenza, per me è una cosa naturale, che si è formalizzata sotto l’aspetto burocratico nel 2008. È infatti dal lontano 1990 che coltivo le mie due piccole aziende con metodi naturali, senza usare prodotti antiparassitari di sintesi, né tanto meno diserbanti, insetticidi e concimi chimici, preferendo quelli naturali. Nei mesi primaverili tutte le mie viti vengono ripulite manualmente, zappate e sfogliate, a secondo delle necessità del momento, pratiche agronomiche molto antiche e costose, indirizzate a ottenere la più alta qualità sanitaria del prodotto. Infatti i trattamenti antiparassitari possono esser ridotti al minimo proprio per il tipo d’assistenza manuale che le piante ricevono giornalmente e per il microclima particolarmente favorevole. Questa mia scelta è stata dettata da una precisa volontà di contribuire a realizzare, per quel che mi è possibile, un’agricoltura migliore, che rispetti maggiormente la Natura e si sforzi di realizzare prodotti della terra sani e genuini, preservando le ‘biodiversità’ che sono e resteranno il valore aggiunto dei prodotti italiani e patrimonio della collettività”.
E in cantina cosa succede? “L’elevazione avviene in piccole botti di rovere (25-30 ettolitri), in tonneaux e in barriques per un periodo che varia dai sei ai 24 mesi, a seconda delle tipologie dei vini, che, durante questi mesi, vengono seguiti scrupolosamente da me e dal cantiniere che, rispettandone tempi e necessità, provvede a compiere i travasi, botte per botte. Al termine dell’affinamento, ogni singola botte viene, per l’ultima volta, analizzata e valutata dall’enologo e da me, prima di decidere insieme i vari blend. Firmo le mie bottiglie e su ognuna di esse è riportato il quantitativo della produzione dell’anno per singolo tipo di vino, quale ulteriore garanzia della scrupolosa artigianalità del lavoro e a tutela del consumatore”.
Ci parli dei tuoi prodotti? “Le uve per la produzione del mio Rosso di Montepulciano provengono dagli stessi vigneti del Nobile e vengono vinificate proprio come se volessi produrre un Nobile, cercando cioè di estrarre il massimo in struttura, profumi e persistenza. La maturazione avviene per circa sei mesi in acciaio inox e alcuni mesi in bottiglia concludono il breve ciclo di lavorazione di questo vino, che amo perché mostra il lato più ‘fruttato e giovane’ del Prugnolo Gentile. Il Nobile annata proviene dalle uve di cinque vigneti, che vengono scelte manualmente e vinificate in fermentini d’acciaio, cui segue l’elevazione in tonneaux e piccole botti di rovere francese, dove questo vino acquista tutte le sue peculiari caratteristiche. Completa poi il periodo d’affinamento con alcuni mesi di bottiglia, che coincidono coi mesi caldi per affrontare meglio la sua prima estate. Mi piace portare fino in fondo l’intera fase d’affinamento dei miei vini, voglio esser io a tenerli sotto controllo finché non sono davvero pronti per le tavole, anche se ciò comporta l’uscita ritardata sul mercato. Chi conosce i miei vini, che sono molto netti, puliti al naso e profumatissimi, apprezza questa mia pratica perché sa che l’iniziale durezza si smussa in bottiglia, mentre emergono le più belle sensazioni che dà il Prugnolo Gentile con una piccola aggiunta di Colorino e Mammolo. È anche per questo che spesso il mio Vino Nobile, con una possibilità d’invecchiamento di circa vent’anni, viene collocato tra i classici di Montepulciano, cioè tra i vini che più tipicamente richiamano alla memoria le caratteristiche delle uve poliziane. La freschezza di questi vini è aiutata molto anche dalla conformazione dei terreni, vicini a un galestro: siamo su una cresta spartiacque, per cui abbiamo un sasso ricco di ferro di fiume, che dà molta freschezza ai terreni e, anche nelle estati molto calde, lo stress idrico è ridotto. Passiamo a parlare del Nobile Selezione Lipitiresco, un cru delle migliori uve nato nel 1990, che mi diverte molto produrre, è la mia idea di Nobile, un vino difficile, che aveva bisogno di un nome onomatopeicamente difficile. Ho cercato di prendere il meglio della tradizione, ma lasciando molto alla mia fantasia: per l’invecchiamento tonneaux e barriques per 18 mesi e poi tanti altri mesi in bottiglia, dai 12 ai 18, secondo le annate”.
Ma ecco arrivato il momento della ‘Riserva dei Mandorli’, nata nel 1993, un pezzo importante della storia enologica di Montepulciano... “Chi viene, come voi, a visitare la mia azienda all’inizio della primavera, ha la possibilità di comprendere inconfondibilmente perché questo vigneto si chiama dei mandorli. Le piante di mandorlo in fiore, che gli fanno corona, ravvivano il paesaggio ancora invernale, rendendolo più colorato e vivace. È solo in questo vigneto che ottengo le uve per questo Nobile, che produco solamente nelle annate particolarmente favorevoli e che si differenzia dal Nobile annata, oltre che per la provenienza delle uve, anche per il periodo di maturazione, che sale a tre anni in tonneaux e un affinamento in bottiglia di 12 mesi. Nei miei vini si sente il tipico profumo del Sangiovese che ricordo da piccolo, quando, a ottobre/novembre, passando in Via delle Cantine a Montepulciano, dove c’erano appunto le cantine di tutte le famiglie nobili, si sentiva ‘il ribollir dei tini’ di carducciana memoria, lo stesso sentore di questi vini, molto legato al frutto, che vince sul legno, infatti i vini ‘mangia e bevi’ non mi sono mai piaciuti, neanche quando andavano molto di moda”.
Ma è vero che solo a Cortona si può trovare il tuo vino-provocazione ‘L’Eretico di Toscana’? “Ho un piccolo vigneto di Merlot dove faccio questo scherzo, che propongo, come scherzo dello scherzo, solo nel mio punto vendita diretta, che ho chiamato appunto ‘Bottega dell’Eretico’, che si trova in via Benedetti, in pieno centro storico tra Piazza Signorelli e Piazza della Repubblica, dove c’è anche una selezione di prodotti della Val d’Orcia, a cui sono molto legato. Ma la cosa interessante è che, quando i clienti assaggiano questo Merlot, mi chiedono se c’è del Sangiovese, per cui si arriva a capire quanto può influire il terroir sul vitigno”.
Un discorso a parte merita il Vin Santo, un prodotto molto importante per Montepulciano, forse in Toscana il luogo dove si fanno i migliori prodotti... “ Scherziamo su tutto, ma non sul Vin Santo, per me è una cosa molto seria, pensa che lo facevo a casa ancor prima di diventare agricoltore. È l’altra mia grande passione, rappresenta un vanto personale e una tradizione di famiglia da custodire gelosamente, per pochi intenditori. La ‘madre’ che lo genera ha infatti più di 140 anni, tramandata da tre generazioni e a me affidata per custodirla gelosamente. L’antico procedimento di produzione ha inizio con la scelta scrupolosa delle uve in vigna – Malvasia 50%, Pulcinculo 30% e Trebbiano 20% – va avanti col loro appassimento nel fruttaio sulle stuoie di canna di lago per almeno 120 giorni e prosegue poi con la spremitura: il mosto ottenuto, con una concentrazione eccezionale, viene immesso in piccoli, vecchissimi caratelli da 50 e 75 litri, dove rimane per almeno nove anni, senza nessun intervento esterno, solo maturando sulla madre. Il momento della svinatura è sempre molto emozionante, ogni caratello è una sorpresa, non si conosce né la qualità del vino, né tanto meno la quantità che contiene sino all’apertura. È anche questo il fascino del Vin Santo, un mistero capace di affascinarti anno dopo anno. Il lunghissimo affinamento continua in vetro grande nelle nostre damigiane per almeno 30–36 mesi e poi va in bottiglia senza filtraggi, il che vuol dire che le circa 500 mezze bordolesi all’anno del mio particolarissimo Vin Santo non escono sul mercato prima di quindici anni: anche in questo caso ho preso una strada molto difficile, anche un po’ controcorrente, ma non posso fare diversamente, è nella mia natura, il valore aggiunto di una mia bottiglia deve essere riconoscibile. Tutti i vini vanno abbinati a qualcosa e tutti cerchiamo abbinamenti particolari, io ho sempre pensato che il mio Vin Santo è fatto per i dolci di Siena, il Panforte e il Panpepato, il connubio tra pepe, zucchero e miele si adatta a meraviglia ai sentori di questo Vin Santo, che sono molto di albicocca passita”.
Ma una parte della tua azienda è dedicata solo all’olivicoltura... “È ora di iniziare a considerare l’olio extravergine d’oliva alla stregua del vino! Come per il vino si parla di uvaggi, così si deve parlare di cultivars per l’olio e quindi di spremitura separata e di blend con percentuali diverse per dare colore, profumo e gusto peculiari per ogni produttore. Nella mia azienda ci sono tre oliveti, “del Pinzo”, “del Poggione” e de “la Villa” e vi coltivo le varietà “Frantoio”, “Moraiolo” e “Leccino”. Raccolte per brucatura a mano, iniziando subito dopo la fine delle operazioni di svinatura, vengono spremute con sistema tradizionale a macine e presse a freddo. L’olio extravergine ottenuto, con una resa media del 16-18%, viene fatto riposare alcuni mesi in orci di terracotta per esser imbottigliato appena prima di Pasqua con quasi totale assenza d’acidità”.
Ci parli della tua esperienza come Presidente del Consorzio del Vino Nobile dal 2004 al 2007... “Sono arrivato dopo 21 anni di ‘regno’ del Presidente Alamanno Contucci e la candidatura nacque più per servizio che per altro, è stato un periodo molto importante per me come arricchimento personale. Iniziai a vedere quest’esperienza come un’occasione per il Consorzio di dare una spinta propulsiva alla denominazione e lanciai una sfida, la ripresa in possesso della Fortezza, un momento importante per i poliziani, il coronamento del nostro sogno: facemmo un blitz al Parlamento Europeo nella primavera 2005 con 50 persone, una task force che andò a Bruxelles a presentare il nostro comprensorio territoriale sotto la bandiera della collettività e arrivarono i primi contributi”.
Massimo Romeo non ha mai ceduto all’idea di crescita infinita delle produzioni, ma ha sempre puntato sull’identità dei vini di Montepulciano, credendo fermamente alle loro potenzialità, producendo rossi da grande invecchiamento che si differenziassero e fossero riconoscibili, nel solco del Prugnolo Gentile e della tradizione toscana. Il tenere ben dritta la barra del timone, non tradendo mai i propri principi, lo ha portato a essere sempre molto apprezzato nei mercati tradizionali con solidi clienti storici, ormai amici da decenni.
(di Andrea Cappelli)