di Raffaele Giannetti
(VAL D'ORCIA - terra d'eccellenza, n°12)
(VAL D'ORCIA - terra d'eccellenza, n°12)
Uscio è un termine che mi
è parso adatto a questa occasione festiva. Spieghiamoci: per parlare dell’uscio, che è sinonimo popolare e dimesso
di porta, ci sono almeno due ragioni,
delle quali la prima riguarda la forma per così dire dialettale, l’altra il suo
significato.
Credo che oggi siano molti a pensare che
tutte quelle che una volta sembravano porte
si siano trasformate in usci, data la
situazione sociale ed economica (che i
politici amano ipocritamente chiamare crisi, con parola che evoca una fine). C’è di più. Ho proprio la netta sensazione che stare qui a discettare di porte ed usci, o di altre parole, non sia più un’operazione moralmente accettabile: forse non c’è più spazio per queste facezie. Non è bello dar l’idea, come la danno i giornali e i mezzi d’informazione, che niente sia successo, che tutto sia normale. Come dire che è facile diventare complici. Insomma, in questo momento, parlare di etimologie – come di altri mille argomenti – potrebbe servire a chi non vuol parlare delle cose serie. Non dimentichiamoci che in Italia, poco tempo fa, abbiamo visto sulla scena – e questo senza che nessuno abbia fatto notare il senso profondo e drammatico dell’avvenimento – due papi e un presidente (della Repubblica) in luogo di un papa e due presidenti. Ma sorvoliamo sul fatto e ritorniamo al nostro uscio.
politici amano ipocritamente chiamare crisi, con parola che evoca una fine). C’è di più. Ho proprio la netta sensazione che stare qui a discettare di porte ed usci, o di altre parole, non sia più un’operazione moralmente accettabile: forse non c’è più spazio per queste facezie. Non è bello dar l’idea, come la danno i giornali e i mezzi d’informazione, che niente sia successo, che tutto sia normale. Come dire che è facile diventare complici. Insomma, in questo momento, parlare di etimologie – come di altri mille argomenti – potrebbe servire a chi non vuol parlare delle cose serie. Non dimentichiamoci che in Italia, poco tempo fa, abbiamo visto sulla scena – e questo senza che nessuno abbia fatto notare il senso profondo e drammatico dell’avvenimento – due papi e un presidente (della Repubblica) in luogo di un papa e due presidenti. Ma sorvoliamo sul fatto e ritorniamo al nostro uscio.
Siamo, comunque, in una fase dell’anno
(calendarialmente parlando) che è dominata dall’immagine della porta, quella
che in latino si diceva ianua e che è
connessa con Ianus, Giano, il dio
romano che presiedeva alla fine dell’anno vecchio e all’inizio di quello nuovo.
Le chiavi sono il simbolo facilmente riconoscibile del dio che ha dato il nome
al mese di gennaio, in latino Ianuarius,
in inglese January.
Secondo un grande studioso della religione
romana antica, Dario Sabbatucci, il fatto appena menzionato toglie di mezzo
tutte le immaginazioni che fanno di marzo il primo mese dell’anno antico.
Rispondendo preventivamente a quanti si sentiranno in dovere di obiettare, dico
solo che il mese di marzo può costituire sicuramente un inizio, anche molto
importante, dell’anno, così come succede per il primo capitolo di un libro:
forse che la prefazione e l’introduzione non fanno parte del libro? Ma la
questione è spiegata più accuratamente in e-Mercurius, blog che gestisco insieme a mio fratello Riccardo (http://emercurius.wordpress.com):
cercare un vecchio post intitolato Dicembre,
il dodicesimo.
Veniamo ora al significato del nostro uscio, sinonimo di porta. C’è da immaginare che molti di noi (perché anch’io sono
cascato nella rete) pensino o abbiano pensato che l’uscio sia connesso con il
verbo uscire. Certo è che la
coincidenza è suggestiva: è vero che la porta non serve solo ad uscire, ma
chissà che cosa è successo in passato (le ipotesi che ci divertiremmo a pensare
per spiegare il fatto non si conterebbero). Per fortuna, l’uscio non ha niente
a che vedere con l’uscire e l’uscita, perché viene dal latino ostium, ‘porta’. E pian piano da ostium siamo giunti a uscio.
Uscire, dal canto suo,
viene dal latino exire. In quel di
Siena – Federigo Tozzi ne è illustre testimone – e anche in altri luoghi –
ricordo mio nonno – si è continuato a dire escire.
Come vedete anche la lingua è alquanto infida.