di Giorgio Scheggi
(VAL D'ORCIA - terra d'eccellenza, n°11)
(VAL D'ORCIA - terra d'eccellenza, n°11)
Non ce la faremo, lo so. Nessuno ha più voglia di sognare,
di lottare. Siamo tutti molto stanchi. Peccato, perché il futuro parla di noi,
di questa terra, di ciò che potrebbe essere. Da molto tempo, ahimè, “futuro” significa
un mese, per i più generosi, un anno. E non c’è progetto grande, impegnativo,
che si possa liquidare in una così asfittica misura di tempo.
Creare una rete di imprese, di associazioni, di cittadini,
che vogliano riprendersi il proprio destino e lavorare per
mantenere, conservare, sviluppare la Val d’Orcia non sarebbe esattamente un sogno o un’impresa impossibile se non versassimo in questo stato di prostrazione. E’ questo il senso della proposta per la costituzione di un “Parco Agricolo” che pure, qualcuno, si ostina ad avanzare. Mi rendo perfettamente conto di parlare con me stesso, mi rendo conto che leggere, riflettere, avanzare proposte è un impegno che nessuno più vuol sostenere.
mantenere, conservare, sviluppare la Val d’Orcia non sarebbe esattamente un sogno o un’impresa impossibile se non versassimo in questo stato di prostrazione. E’ questo il senso della proposta per la costituzione di un “Parco Agricolo” che pure, qualcuno, si ostina ad avanzare. Mi rendo perfettamente conto di parlare con me stesso, mi rendo conto che leggere, riflettere, avanzare proposte è un impegno che nessuno più vuol sostenere.
I professori dell’Università di Tokio che così
brillantemente ci hanno intrattenuto, presentando il loro lavoro sulla Val
d’Orcia, questa estate a Rocca d’Orcia, nel seguire il breve dibattito sviluppatosi
al termine di quella illustrazione, sono apparsi stupiti degli allarmi e delle
note polemiche emersi da alcuni interventi. ‘Ma come..” sembravano suggerire i
loro sguardi ‘vi stiamo raccontando di quanto grande sia la nostra ammirazione
per questa vostra terra, dello straordinario successo che sta incontrando nel
popolo giapponese, e voi, ve ne state lì, immobili, incapaci di coordinarvi tra
minuscoli villaggi separati da una manciata di kilometri?’
Sì, amici giapponesi, grosso modo è proprio così.
La politica, in questi anni, ha lavorato perché ci fosse
un’entità amministrativa (Unione dei Comuni) che non corrispondeva a quella
riconosciuta dall’Unesco così da
determinare una spaccatura interna ai cinque comuni del Parco della Val d’Orcia
i quali, pur conservando un simulacro di unità (la Conferenza dei Sindaci), si
sono amministrativamente dissociati gli uni dagli altri e questo è un bel
disastro.
Parlare con le persone che qui lavorano, segnatamente con
gli agricoltori, ti precipita in una realtà che come minimo stride con la
consapevolezza delle peculiarità di questo nostro territorio che, dopo
vent’anni, dovrebbe essersi finalmente radicata negli interlocutori
istituzionali. Ma sono loro, gli agricoltori, che ti raccontano di come sia
rischioso arricchire il proprio terreno del concime prodotto nella propria
stalla: un’occhiuta amministrazione potrebbe infliggervi sanzioni e multe.
Magari è la stessa amministrazione munifica di permessi che agevolano lo
spargimento di fanghi industriali in aree ad alta densità agrituristica. Ti
raccontano della defatigante impresa di ottenere il permesso per costruire un
annesso agricolo, per il ricovero o l’allevamento di animali, del copioso
carteggio con la Sovrintendenza, la quale, si scoprirà, non era per nulla
interessata ai materiali da costruzione (quindi, del paesaggio) ma piuttosto
alle dimensioni delle porte, non sia mai che un trattore ci possa entrare agevolmente.
Questo è. Se la Val d’Orcia non può e non deve diventare qualcosa di diverso da
ciò che la rende tanto bella agli occhi dei nostri visitatori, significa che
dobbiamo porre loro, gli agricoltori, come custodi di ieri e di oggi di questo
paesaggio e intorno a loro costruire una rete interventi, investimenti, regole
che li agevolino in questo compito.
Più volte si è qui richiamato il rischio che nella nostra
valle si assista, per ragioni di mercato, alla progressiva sparizione del
frumento. Si tratterebbe di un rischio paesaggistico notevole, nessuno può
prevedere con cosa il frumento sarà sostituito e che impatto sul paesaggio e
sui suoli avranno le nuove colture. Occorre immaginare una soluzione, credo. E’
solo un esempio, naturalmente, perché dal mantenimento delle strade bianche
alla regimentazione delle acque, alla valorizzazione e conservazione dei
coltivi minori è tutto un fiorire di problemi, nella cui soluzione però c’è
anche lavoro, investimenti, futuro.
Mario Luzi
Riemerge in lontane chiarità
dalle sue latebre
azzurre
e grigie, si sveglia,
terra orciana,
alla nostra prima
smania
fino alle ultime
pendici
ed apre
nebulosa
ancora, opalescente
la sua oasi
a questa pausa
della nostra traversata.
Pausa?
o non lenta
illuminazione
del torbo e dell'oscuro
del cuore -
e intanto ascesa
del fragore
chioccio e sordo
degli uccelli verso il canto,
il silenzio,
il canto ancora
e il grido di felicità
nel colmo
del giorno...
e questo passa