Tra le innumerevoli preoccupazioni che ci affliggono, ci si è messo pure il tempo, quello meteorologico, con temporali quotidiani, e le vacanze imminenti senza ‘bollino nero’; perché non ci saranno giorni critici per partire in vacanza quest’anno, perché saranno molti meno gli italiani che andranno in ferie.
Non che ci turbi più di tanto, quest’assenza di vacanza, perché viviamo in luoghi bellissimi, dove ‘gli altri’ vengono
proprio per prendersi una pausa dalle fatiche del lavoro. Qui si tratta di una pausa dello spirito, più che altro, perché in queste cittadine, in queste campagne ci sono un sacco di cose da vedere – tante che una vacanza, anche lunga, non basterebbe: per questo si torna –.
Discorso da fare in punta di piedi, perché se saranno meno quelli che vanno in vacanza, anche qui verrà meno gente, o almeno è possibile che accada… sì, però ci sono gli stranieri, dall’Europa, ma anche da paesi nuovi, da est, dall’Asia, dalla Russia.
Questa riflessione può proseguire in modo più o meno razionale, prendere uno dei rivoli in cui si sviluppa, tornare sui suoi passi: avrà sempre una componente consolatoria, perché davanti al cambiamento siamo come bambini, un po’ spaesati, vagamente (o molto) in ansia.
Vorrei però prendervi per mano, anzi stringere forte le vostre mani e fare un’altra riflessione – che non deve distoglierci dal nostro quotidiano contemporaneo, dai problemi dell’IMU, delle banche che non fanno il loro mestiere, delle tasse, della disoccupazione –; una voce alla radio ieri (11 luglio)ha ricordato che era l’anniversario dell’eccidio di Srebrenica: diciotto anni fa, sotto gli occhi dei caschi blu dell’ONU, circa ottomila uomini (musulmani bosniaci), sono stati uccisi, in Europa; avevano dai quattordici ai non so quanti anni. Mentre succedeva (l’eccidio è durato più di dieci giorni, perché per ammazzare così tanta gente ci vuole tempo) noi non ne sapevamo nulla. Ma qualcuno sapeva: per esempio l’ONU, quindi anche i governi.
Ieri, un’altra voce alla radio ha poi comunicato che la città di Aleppo (Siria) – dove molti di noi sono stati per viaggi di vacanze – circondata e bloccata dalle truppe dei ribelli anti Assad, è completamente senza cibo. Non per modo di dire, ma per davvero; nel silenzio dei media, dei governi, dei parlamenti e – ovviamente – nel nostro silenzio. Io ho ancora due pezzi del buon sapone di Aleppo, un sapone speciale, fatto con l’olio d’oliva e profumato d’alloro e di Mediterraneo.
Lo so da ieri, e sto scrivendolo: non so se servirà a qualcosa, ma non sto davvero a chiedermelo, perché penso a quei cittadini, alle famiglie, ai ragazzini, che non hanno più niente da mangiare.
Ho invece fatto un’altra cosa, che può essere utile, anche se apparentemente con quello che succede ad Aleppo c’entra poco.
Ieri è iniziato il Ramadan e nel paesetto in cui abito ci sono molti tunisini, tutti osservanti. Ho l’impressione che, ormai, ci siano più tunisini che toscani o anche solo italiani. La piccola piazza accanto a casa mia ha assunto un aspetto arabeggiante: lo stile di parcheggio, qualche djellaba, i volti barbuti – tutti maschili, le donne stanno appartate – e, purtroppo, un cestino della spazzatura ricolmo all’inverosimile di bottiglie di plastica, vuote e gonfie, che cominciano a ruzzolare sospinte dal vento.
Ho cercato Mustafa – un uomo con cui ho una minima confidenza – gli ho chiesto notizie del Ramadan e gli ho fatto gli opportuni auguri (come si usa); poi gli ho indicato le bottiglie, pensando di iniziare una piccola trattativa a quel proposito, ma lui ha immediatamente capito e mi ha detto “sono i vecchi”, promettendomi di spiegare loro che se le bottiglie le schiacci e le tappi sono più pulite e ordinate. Ho voluto però sottolineare la ragione della mia attenzione a questo proposito, spiegandogli che qualcuno, nel paese, avrebbe cominciato col commentare e che (anche) questo argomento avrebbe scavato un piccolo grande solco tra i due gruppi di abitanti del paese.
Tutto ciò, pensando all’anniversario di Srebrenica, di cui nessuno parla, e alla gente di Aleppo che questa sera sta morendo di fame; tutto ciò con un pensiero al futuro, consapevole che i pensieri non bastano e che nemmeno le parole – da sole – sono sufficienti, ma il silenzio è sempre più indecente.
Non che ci turbi più di tanto, quest’assenza di vacanza, perché viviamo in luoghi bellissimi, dove ‘gli altri’ vengono
proprio per prendersi una pausa dalle fatiche del lavoro. Qui si tratta di una pausa dello spirito, più che altro, perché in queste cittadine, in queste campagne ci sono un sacco di cose da vedere – tante che una vacanza, anche lunga, non basterebbe: per questo si torna –.
Discorso da fare in punta di piedi, perché se saranno meno quelli che vanno in vacanza, anche qui verrà meno gente, o almeno è possibile che accada… sì, però ci sono gli stranieri, dall’Europa, ma anche da paesi nuovi, da est, dall’Asia, dalla Russia.
Questa riflessione può proseguire in modo più o meno razionale, prendere uno dei rivoli in cui si sviluppa, tornare sui suoi passi: avrà sempre una componente consolatoria, perché davanti al cambiamento siamo come bambini, un po’ spaesati, vagamente (o molto) in ansia.
Vorrei però prendervi per mano, anzi stringere forte le vostre mani e fare un’altra riflessione – che non deve distoglierci dal nostro quotidiano contemporaneo, dai problemi dell’IMU, delle banche che non fanno il loro mestiere, delle tasse, della disoccupazione –; una voce alla radio ieri (11 luglio)ha ricordato che era l’anniversario dell’eccidio di Srebrenica: diciotto anni fa, sotto gli occhi dei caschi blu dell’ONU, circa ottomila uomini (musulmani bosniaci), sono stati uccisi, in Europa; avevano dai quattordici ai non so quanti anni. Mentre succedeva (l’eccidio è durato più di dieci giorni, perché per ammazzare così tanta gente ci vuole tempo) noi non ne sapevamo nulla. Ma qualcuno sapeva: per esempio l’ONU, quindi anche i governi.
Ieri, un’altra voce alla radio ha poi comunicato che la città di Aleppo (Siria) – dove molti di noi sono stati per viaggi di vacanze – circondata e bloccata dalle truppe dei ribelli anti Assad, è completamente senza cibo. Non per modo di dire, ma per davvero; nel silenzio dei media, dei governi, dei parlamenti e – ovviamente – nel nostro silenzio. Io ho ancora due pezzi del buon sapone di Aleppo, un sapone speciale, fatto con l’olio d’oliva e profumato d’alloro e di Mediterraneo.
Lo so da ieri, e sto scrivendolo: non so se servirà a qualcosa, ma non sto davvero a chiedermelo, perché penso a quei cittadini, alle famiglie, ai ragazzini, che non hanno più niente da mangiare.
Ho invece fatto un’altra cosa, che può essere utile, anche se apparentemente con quello che succede ad Aleppo c’entra poco.
Ieri è iniziato il Ramadan e nel paesetto in cui abito ci sono molti tunisini, tutti osservanti. Ho l’impressione che, ormai, ci siano più tunisini che toscani o anche solo italiani. La piccola piazza accanto a casa mia ha assunto un aspetto arabeggiante: lo stile di parcheggio, qualche djellaba, i volti barbuti – tutti maschili, le donne stanno appartate – e, purtroppo, un cestino della spazzatura ricolmo all’inverosimile di bottiglie di plastica, vuote e gonfie, che cominciano a ruzzolare sospinte dal vento.
Ho cercato Mustafa – un uomo con cui ho una minima confidenza – gli ho chiesto notizie del Ramadan e gli ho fatto gli opportuni auguri (come si usa); poi gli ho indicato le bottiglie, pensando di iniziare una piccola trattativa a quel proposito, ma lui ha immediatamente capito e mi ha detto “sono i vecchi”, promettendomi di spiegare loro che se le bottiglie le schiacci e le tappi sono più pulite e ordinate. Ho voluto però sottolineare la ragione della mia attenzione a questo proposito, spiegandogli che qualcuno, nel paese, avrebbe cominciato col commentare e che (anche) questo argomento avrebbe scavato un piccolo grande solco tra i due gruppi di abitanti del paese.
Tutto ciò, pensando all’anniversario di Srebrenica, di cui nessuno parla, e alla gente di Aleppo che questa sera sta morendo di fame; tutto ciò con un pensiero al futuro, consapevole che i pensieri non bastano e che nemmeno le parole – da sole – sono sufficienti, ma il silenzio è sempre più indecente.