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Appartamenti al posto dei capannoni agricoli il comitato della Val d'Orcia grida allo scempio

"Perché togliere la destinazione rurale?". Ma il sindaco di Pienza nonci sta: non è stato aggiunto un solo metro cubo in più
VAL D'ORCIA: C'erano una volta due grandi capannoni, di quelli usati in agricoltura per il rimessaggio degli attrezzi e, che l'antica sa­pienza dei costruttori aveva sa­puto incastonare alla perfezio­ne nel paesaggio circostante. Un paesaggio non
qualsiasi, bensì la Valdorcia, considerato un capolavoro di quella virtuosa sinergia che nel corso di seco­li, in Toscana, si è realizzata fra natura e antropizzazione. C'e­rano una volta, perché oggi non ci sono più, trasformati come sono stati in due edifici nuovi di zecca e «di singolare bruttezza» proprio sulla strada scenografi­ca che porta dal quadrivio di Spedaletto a Pienza, come de­nuncia il Comitato per la Val d'Orcia, presieduto da Bene­detta Origo e associato alla Rete dei Comitati per la difesa del ter­ritorio guidata da Alberto Asor Rosa, nata sull'onda delle pro­teste contro le arcinote villette- mostro di Monticchiello. «Da una attenta osservazione dei due nuovi interventi», scrive Origo nella nota del Comitato per la Val d'Orcia, «risulta che si tratta della conversione di al­meno due grandi capannoni, uno dei quali appare già com­pletato, e ha un aspetto tipo hangar, giallo», con tanto di cartello con la scritta «in vendita» ben visibile dalla strada. L'altro capannone, invece, è ancora in costruzione, «con un porticato falso rustico» in mattoni rossi che sta giusto prendendo for­ma, dando all'insieme un aspetto «smisurato in propor­zione agli altri edifici abitativi della valle». Il primo destinato a diventare una piscina coperta, il secondo un caseggiato di mini appartamenti. «Tutto legale», certo, riconosce il Comitato. E però «Perché», ci si chiede nella nota, «la semplice conversione da edificio agricolo a urbano può sfociare in costruzioni-mostro, del tutto fuori posto in una valle che si dice protetta, e perfino segnalata dall'Unesco?». In altre parole: «Chi valuta come le conversioni vengono fatte, e se dav­vero si adeguano al bene comu­ne della popolazione?». Ancora: «Perché concedere deruraliz­zazioni quando oggi, finalmen­te, si sta tentando di ristabilire la vocazione agricola della Val d'Orcia?». Una vocazione, se­condo il Comitato, che «porte­rebbe molti più vantaggi a tutta la comunità della valle» di una stecca di nuovi miniapparta­menti, di sicuro destinati a turi­sti, con tanto di piscina privata.

Il sindaco di Pienza, però, non ci sta a farsi prendere per cementificatore: «Quei due ca­pannoni sono stati ristrutturati senza l'aggiunta di un solo me­tro cubo in più» replica Fabrizio Fè, che ha anche la delega all'ur­banistica, esponente della Lista civica che ha vinto le ammini­strative. E' vero, i due ex edifici agricoli diventeranno apparta­menti, per turisti o anche per residenti, con tanto di piscina, «ma non vedo dov'è il proble­ma», dice, «tutto è avvenuto nel pieno rispetto delle regole urbanistiche e edilizie». Perché concedere deruralizzazioni in la Val d'Orcia mentre si sta cercando di rilanciare il suo tradizionale volto agricolo? «Le due cose non sono in conflitto» sostiene il sindaco,«per fortuna non è che tutti gli agricoltori della valle stanno vendendo case e capannoni, chi lo fa, però, ha il diritto di po­ter contare su un possibile cam­biamento di destinazione d'u­so», indispensabile per rendere gli immobili appetibili per il mercato. E il Comune, per legge, «ha il diritto di valutare caso per caso l'opportunità di concede­re i permessi». Per i due capan­noni in questione, secondo Fé, «si prevedeva un intervento molto contenuto e di poco im­patto, e non c'era alcuna ragio­ne di dire di no». Quanto alla vocazione rurale della Val d'Orcia, «siamo più che impegnati a va­lorizzarla, con la Regione stia­mo progettando interventi compatibili con il nostro terri­torio, e proprio per evitare pro­liferazioni di brutte costruzioni abbiamo messo vincoli sui re­cuperi». Il Comitato però insi­ste: «Prima che sia veramente tardi è ora di comportarci da ci­vili amministratori di un bene comune irripetibile», protesta. E lancia un appello alla Regione Toscana perché «prenda i provvedimenti ancora possibili per fermare lo scempio impeden­done i catastrofici effetti. (LA REPUBBLICA)