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Storia (povera e attuale) della «micragna»

di Raffaele Giannetti          
(VAL D'ORCIA - terra d'eccellenza, n°8)
Dopo la storia di uno strano e doppio aggettivo – quello scrivo scrivo che abbiamo interpretato come metatesi di scabro e scevro – è il turno di un’altrettanto strana micragna.
La troviamo nel Vocabolario amiatino di Giuseppe Fatini e nel Grande dizionario della lingua italiana.

In quest’ultimo si sostiene, con dovizia di particolari e di testimonianze, che micragna (o migragna) sia una voce dialettale, particolare dell’area centrale e del romanesco, e che provenga, per aferesi, dal latino hemicrania ‘emicrania’. È bene notare, tuttavia, che esiste anche una micrania che sta per ‘emicrania’, la quale potrebbe aver suggerito, da gemella della nostra micragna, l’etimologia appena citata.
Il Vocabolario amiatino, dal canto suo, testimonia laconicamente che il vocabolo è presente anche in zone a noi prossime (comunque fortemente influenzate da Roma).
Vediamo i significati del termine.
Micragna (migragna) significa ‘scarsità, mancanza di denaro, penuria, indigenza; condizione di miseria, di povertà; penuria, carestia’. Ne conseguono i significati di micragnoso come ‘povero, miserabile’; ‘gretto, avaro’; ‘dettato da tirchieria’; ‘ridotto in cattive condizioni, squallido’ o ‘scarso, insufficiente’…
Ci sfugge, però, il nesso fra il significato attuale, quello che si incentra sulla ‘povertà’, e quello invocato dall’etimologista come originario, cioè ‘emicrania’: com’è possibile, pensiamo noi, che un’emicrania produca la miseria? Che c’entra, per dirla altrimenti, la povertà col mal di testa? Ci sarebbe da dire molto, scherzando; basta, però, con le celie. In altre parole, la soluzione del dizionario ci sembra dettata soltanto da una somiglianza formale, per così dire, scriva scriva.
Certo, sappiamo bene – anche per averlo già scritto in queste colonne – che ciò che interessa è l’«attualità antica», la coerenza psicologica e culturale dei significati nel tempo in cui la parola è stata prodotta. La discrepanza attuale può benissimo essere frutto di una storia complessa che ormai ci sfugge. Eppure, anche noi sappiamo bene che cattivo è figlio del latino captivus che vuol dire ‘prigioniero’ e che, anche se oggi può apparire almeno singolare, la cattiveria è parente della cattività (quella di una belva in uno zoo, per esempio): ma una bestia in cattività – ciò è chiaro – s’incattivisce facilmente! Perdonate il gioco di parole. Molte altre parole, inoltre, potrebbero testimoniare trascorsi alquanto originali e insospettabili.
Il fatto è che la nostra parola, micragna,  ci è stata suggerita da quello stesso procedimento – la metatesi – che aveva favorito l’accostamento fra scevro e scrivo. Per noi, infatti, la micragna (o migragna) altro non sarebbe che il risultato di uno scambio fonetico avvenuto nella parola gramigna. Ci sembra che così si recuperino i sensi della lingua popolare, nella quale la gramigna rappresenta diffusamente e propriamente la povertà; non fosse altro per la vicinanza dell’antico gramen, ‘erba e gramigna’, all’italiano gramo (con buona pace delle altre interpretazioni ufficiali).
Ma qui ci fermiamo sottolineando come – nel pensiero popolare – gramigna e povertà siano entrambe erbe diffusissime e difficili da estirpare. Oh, tempi micragnosi!

Riferimenti bibliografici
  • Salvatore Battaglia, Grande dizionario della lingua italiana, vol. X, Torino, UTET, 1994, alle voci «Micragna (migragna)», «Micragnóso (migragnóso)», «Micrània», «Migragna e deriv.».
  • Manlio Cortelazzo & Paolo Zolli, Dizionario etimologico della lingua italiana, vol. 2, D-H, Bologna, Zanichelli, 1992, alla voce «gràmo».
  • Giuseppe Fatini, Vocabolario amiatino, Firenze, Barbera, 1953, alla voce «micragna, migragna».