(VAL D'ORCIA - terra d'eccellenza, n°8)
All’attività del poliedrico Jacomo Franchini, uno dei maggiori protagonisti dell’architettura e della scultura a Siena tra sei e settecento, si devono alcuni interventi all’antico ponte sull’Orcia a Bagno Vignoni, di cui oggi restano solo alcune tracce.
La ricerca avvenuta in occasione
della pubblicazione della banca CRAS nel 2010, “La regola e il capriccio.
Jacomo Franchini e il barocco senese”, a cura di Bruno Mussari, Felicia Rotundo
e Vinicio Serino, ha consentito di ritrovare alcuni documenti che, una volta
messi in relazione a fonti bibliografiche già note, hanno permesso di giungere
a fare luce sulla vicenda costruttiva di quello che, per secoli, fu uno dei
punti nevralgici dell’intera via Cassia.
Dalla loro lettura sappiamo che nel
febbraio 1693, un allora giovane Jacomo Franchini, supplicava i «Signori di
Balìa sopra le strade» di concedergli la carica di “Capo Maestro”, subentrando
nell’incarico al padre Niccolò che « … stante il eta sua e per qualche
indisposizione quali non gli permettono in qualche tenppo (sic!) il servizio
pontuale che deve per la sua caricha».
All’epoca la condizione generale
delle strade nello stato senese appariva, come quella del resto del granducato,
generalmente precaria.
I tracciati principali interni
alla Toscana erano ancora quelli di origine medioevale, collegati con i pochi
percorsi viari verso l’Italia settentrionale e meridionale in cui, eccezion
fatta per alcuni miglioramenti risalenti al più tardi all’epoca del Granduca
Ferdinando I, si era proceduto con soli interventi manutentivi,
progressivamente ridotti a causa della diminuzione di risorse a disposizione
delle magistrature deputate al loro mantenimento.
C’era poi una rete viaria
secondaria di strade comunicative e vicariali, che collegavano i centri abitati
tra loro e questi alle direttrici principali: tali percorsi però versavano in
stato di relativo abbandono, stanti le limitatissime possibilità di intervento
da parte delle comunità.
Sono sufficientemente note le dimensioni
della crisi in cui precipitò l’economia toscana, ed ancor più quella senese nel
corso del XVII secolo, per considerare tale stato di inefficienza e, talvolta,
di incuria della rete viaria, del tutto in linea con quello più generale del
patrimonio di proprietà pubblica.
E’ altrettanto noto che proprio
all’epoca del Franchini, sotto l’oscurantismo del governo di Cosimo III, lo
stato mediceo si trovò ad affrontare uno dei momenti più difficili della sua
storia, e questo non solo in campo economico, ma anche a causa della crisi che
aveva investito la pubblica amministrazione, in cui imperavano corruzione,
incompetenza ed immobilismo, senza che lo stato centrale fosse in grado di
invertire il trend negativo: e ciò
nonostante fossero stati adottati provvedimenti tampone che, peraltro, non
avrebbero portato ad alcun miglioramento tangibile.
In questo quadro l’intervento
degli “uffici” e delle magistrature deputate alla gestione delle strade si
orientò spesso, come detto, alla sola gestione delle emergenze più impellenti
in attesa di tempi migliori, che non giunsero prima degli ultimi decenni del
Settecento, con la ventata riformatrice di Pietro Leopoldo. Il nuovo Granduca,
proprio grazie alla conoscenza acquisita sul campo, visitando di persona,
viaggiando quasi in continuo in lungo e in largo per la Toscana , riuscì ad
individuare il nodo cruciale del miglioramento dei collegamenti viari,
autentico volano per la modernizzazione dello stato, grazie ad un nuovo
sviluppo economico basato sui commerci e sul rilancio delle produzioni
agricole, oltre che sull’eliminazione delle rendite parassitarie.
Questo panorama
era però ben lungi dal manifestarsi all’epoca della supplica di Jacomo
Franchini, mentre numerose rimanevano, almeno sulla carta, le incombenze del
«Tribunale e Magistrato delle Strade, Argini, Ponti e Fiumi dello Stato di
Siena», il cui «principale oggetto ... deve essere di tener bene in punto le
strade che si appellano consolari, una delle quali guida a Fiorenza, ed a Roma,
altra alla Maremma di questo stato ed altra alla Valdichiana, restando la prima
molto frequentata per il continuo passaggio dei corrieri Ordinari e Forestieri,
si anche per il frequente passaggio di Barrocci per il trasporto di tutte le
mercanzie, che si staccano da Livorno per questa parte, e le altre due per il
commercio e passaggio di carri, e calessi, portando l’estenzione (sic!), sopra
a miglia centocinquanta, guarnite tutte di selci di quattro, e cinque braccia
per la latitudine e di pedata, con muri, e steccate in moltissimi luoghi per
sostenerla attesa la montuosa situazione dei paesi, dovendo invigilare, e
portare a tener di queste bene in piedi sopra a ottanta ponti che vi esistono
sia murati, ed altri costruiti con legname di diverse grandezze, nove dei quali
composti con quattro o cinque grandi arcate volgarmente detti Reali e di prima
linea».
E proprio uno di questi quattro o
cinque ponti era quello di Bagno Vignoni che il Franchini ricorda in un’altra
supplica al Magistrato del 5 gennaio 1702, dove dichiara il suo impegno « … nel
rifacimento di più Ponti tanto per la Strada
Romana , Valdichiana et altri luoghi dello Stato Senese; Narra
in oltre come da pochi Anni in qua s’è rifatto di nuovo un Ponte Reale al fiume
d’Orcia sotto San Quirico si come altro Ponte di Camparboli nella Strada di
Valdichiana, vicino alla Terra di Asciano, ne i quali lavori doppo il corso di
più di tre Anni il detto Oratore non solo vi ha impegnato l’opera personale,
per condurli a perfettione, ma anchora vi ha fatto tutti quei disegni per ben
Comparire la detta opera …».
Purtroppo dei due ponti tardo
seicenteschi non resta ad oggi granché. Entrambi furono definitivamente distrutti
dai tedeschi in ritirata nel 1944 ma, come vedremo almeno per il ponte
sull’Orcia, erano ormai divenuti del tutto obsoleti all’arrivo dei mezzi
meccanici. Purtroppo nella ricerca non è stata reperita documentazione tecnica
d’epoca, nemmeno i disegni di cui accenna lo stesso Franchini nella supplica, documenti
indispensabili per poter elaborare una analisi puntuale e tecnica capace di dar
conto della portata dell’intervento interessante le due costruzioni.
Dalla lettura delle fonti è
comunque possibile avanzare alcune considerazioni, anche sulla base di foto
precedenti alla distruzione, in particolare del ponte sull’Orcia, lungo la Strada Regia Romana, nei pressi
di Bagno Vignoni, che collegava le due sponde del fiume tra i comuni di San
Quirico d’Orcia e Castiglione d’Orcia.
Come è noto, la via Romana,
provenendo da Firenze, entrava a Siena da porta Camollia e usciva da porta
Romana, per poi percorrere la
Valdarbia , giungere a Buonconvento, poi a Torrenieri, quindi
in Valdorcia, salire a Radicofani e proseguire per la Val di Paglia, fino ad arrivare
al confine granducale di Ponte a Centino, da dove entrava nei possedimenti
della Chiesa per giungere a Montefiascone, Viterbo ed infine a Roma. Lungo il
tracciato che ricalcava quasi integralmente quello medioevale, sulla direttrice
dei pellegrinaggi a Roma almeno dall’VIII secolo e ricavato su preesistenze
viarie romane, furono realizzate, nel corso dei secoli, rilevanti opere
stradali tra cui numerosi ponti.
Tra questi esiste testimonianza
documentaria di un ponte che attraversava l’Orcia sotto Bagno Vignoni, oggetto
di una perizia del 1528 da parte di Baldassarre Peruzzi. L’erudito senese
Ettore Romagnoli (1772-1838), ci informa che la costruzione fu poi
completamente riedificata nel 1643 su disegno dell’architetto Pietro Petruccini,
dando conto dell’iscrizione posta nell’occasione: «Quod anno 1643: Ferdinando
II° in Hetruria regnante intumescenti flumini jugum imposuerat = Constructo
ponte publica caritas = contumaci aquarum vi dirutum = Dominante Cosimo III°
Magno Hae truriae duce e providis viarum cure prefectis pristine integratati ac
viator comodo restituit ut ne audaces pericola nec cauti moram aut subeant aut
protrahant et quos fidissimo Senae exceperunt Hospitio viarum quoque facilitate
nercantur ergo viator hospes vel invitis fluentibus securus ito: MDCLXXXXVII».
La stessa fonte ci informa che il
ponte seicentesco fu “restaurato” una prima volta nel 1697 ed una seconda nel
1729 (attribuendo al Franchini anche questo intervento mentre, ad onor del
vero, il nostro non era più “Capo Maestro” da alcuni anni), prima di essere di
nuovo del tutto riedificato nel 1812, con disegno dell’architetto Alessandro
Doveri.
La ragione di tale precarietà del
ponte, che si ritroverà anche nei secoli successivi, è probabile sia originata
dal fatto, come osservava Francesco Milizia nel suo trattato di architettura
scritto pochi decenni dopo l’epoca del Franchini, di essere stato costruito in
un punto obbligato del fiume, in quanto «niuna cosa è sì nociva quanto il
ristringimento delle acque correnti, perché, oltre i surriferiti danni,
potrebbero anche nelle escrescenze inondar le campagne, o caricare il ponte con
impeto, e rovesciarlo».
Un altro difetto costruttivo fu
individuato nelle due edicole soprastanti che furono oggetto di severa critica
durante uno dei viaggi di Pietro Leopoldo per la provincia superiore senese nel
1775, in
quanto queste avrebbero finito per “sfiancare” il ponte.
Gli interventi del Franchini nel
1697, comunque, devono essere stati come detto, non tanto di completa
“ricostruzione” del manufatto, quanto di consolidamento con modifica di aspetti
architettonici secondari quali parapetti, accessi, ecc., opere comunque
rilevanti ed impegnative, data l’altezza dell’arcata rispetto al greto del
fiume.
Il ponte, recentemente
ricostruito con una semplice passerella “appoggiata” ai residui dei piedritti
superstiti delle mine tedesche del 1944, e di cui restano ancora resti
rilevanti, è ubicato all’inizio della gola dell’Orcia, dove il corso del fiume,
iniziando a stringere in mezzo a due argini naturali rilevati, consentiva la
realizzazione di un possibile passaggio con un ponte ad una sola arcata, già a
sesto acuto, come mostrano alcune immagini d’epoca.
Proprio una di queste immagini,
una cartolina dei primi del novecento non reperita ma segnalata da Fabio
Pellegrini, ci potrebbe svelare però una fine un po’ diversa della vicenda. Il
ponte sarebbe risultato, all’epoca della cartolina (inizi novecento), del tutto
demolito, tanto che la strada statale attraversava l’Orcia su di un ponte di
legno quasi a sfioramento. Il ponte ottocentesco che aveva sostituito quelli
precedenti, danneggiato dalle piene, sarebbe infatti crollato proprio in quegli
anni. Nel 1911 si sarebbe poi provveduto a ricostruire l’opera, che subì gravi
danni per la piena del 1929, che portò via anche il Ponte di Mulina
un chilometro più a valle (che fu sostituito da una passerella i cui resti si
notano tutt'oggi). E’ probabilmente dopo il 1929, che si sarebbe deciso di costruire
un ponte vicino, quello attuale dove passa la Cassia.
Il colpo di grazia sarebbe comunque arrivato, come detto, con le bombe
della II guerra mondiale, anche se ormai il ponte, utilizzato da anni, sarebbe
già caduto in rovina.