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Le zuppe toscane

di Laura De Vincentis          
(VAL D'ORCIA - terra d'eccellenza, n°7)
Un piatto di minestra scalda il corpo e l’anima nelle fredde serate autunnali. Il profumo di quella pentola di coccio che bolle piano piano, e che si spande per tutta casa, riporta a struggenti ricordi del passato, quando si viveva tutti insieme nei casolari di campagna, e le pietanze venivano cotte nella stufa a legna o direttamente dentro il camino.
Una buona  zuppa “profuma di mamma”, ha quel caratteristico sapore “di casa” che crea convivialità attorno ad un tavolo.
Assaporare un cucchiaio di zuppa è come assaporare un racconto di tanti anni fa, talvolta secoli, fatto di civiltà contadina povera ma dignitosa, dove la massaia riusciva con i pochi umili ingredienti che offrivano l’orto o la dispensa, a creare delle pietanze ricche di gusto, a “celebrare” matrimoni perfetti dove i singoli ingredienti creavano una vera sinfonia di sapori.
Le minestre e le zuppe vedono come protagonista indiscusso il pane casereccio raffermo, quello cotto nei forni a legna, quello bigio. Un tempo non si buttava via nulla, specie il pane! Il riciclo era un’arte da cui le massaie sapevano trarre delle vere e proprie ghiottonerie, e le zuppe o le minestre ne sono un validissimo esempio, prima tra tutte la ribollita, nata dal riciclo di pane secco di giorni e giorni, che diventa più buona ad ogni riscaldata.
Molto usate le erbe aromatiche di cui la cucina del territorio abbonda, che contribuiscono a dare un’impronta caratteristica, “famigliare”, a ciascun piatto. Sono l’ingrediente segreto che viene tramandato di generazione in generazione, da mamma in figlia.
Alcune ricette nascono poverissime e si arricchiscono nel corso degli anni, mano a mano che il benessere e la disponibilità di nuovi ingredienti arriva anche nelle cucine delle massaie di campagna.
L’autunno e l’inverno sono due stagioni che, secondo me, regalano le zuppe migliori utilizzando splendidi ortaggi di stagione come il delizioso cavolo nero, che dopo le gelate tardo autunnali esprime il meglio di se, la zucca che già crea visivamente calore e allegria con il suo colore giallo arancione, e i funghi con il loro sapore intenso di sottobosco. E ancora le ghiotte minestre di castagne, quelle castagne che per molti secoli sono state il cibo più importante durante i lunghi inverni per le popolazioni dell’Amiata e dell’Appennino Centrale.
Poi c’è tutto il mondo dei legumi che da sempre regala delle nutrienti minestre chiamate ai tempi “sfamafamiglie”. Umilissimi legumi, specie i fagioli, che non mancavano mai nemmeno nelle famiglie più povere, nutrienti e con il potere di saziare velocemente specie se impiegati in una profumata zuppa.
La carne non appare spesso nelle zuppe della tradizione contadina, era considerata un alimento per ricchi, pertanto si trova in pochissime preparazioni e per di più era carne di animali dell’aia. Si trovano invece, sempre per la famosa “arte del riciclo”, minestre che impiegano ossi di prosciutto, ritagli della parte grassa, pezzi irranciditi e cotenne ad insaporirle.
E quando la disponibilità di una ricca madia lo permetteva ecco che nel battuto fa la sua presenza il rigatino.
La “carne” per eccellenza della classe più umile rimaneva comunque il meno nobile quinto quarto, ovvero lo scarto, le frattaglie, con cui le massaie sapevano creare delle vere ghiottonerie, come la minestra di milza o quella di trippa.

La Ribollita è un gioiello della cucina del territorio, un piatto di umilissime origini dove il detto “piatto avanzato l’è meglio gustato” non potrebbe essere più azzeccato. Una volta non si buttava via niente, soprattutto il pane secco che ben si prestava ad essere riciclato, insieme ad altri ingredienti che offriva l’orto. Il nome “ribollita” si rifà al fatto che questa zuppa veniva preparata in grandi quantità per poi essere via via riscaldata al momento del bisogno e ad ogni riscaldata diventava sempre più buona!

La Ribollita

Ingredienti
1 carota, 1 gambo di sedano, 1 cipolla, 1 spicchio d’aglio
250 g di fagioli borlotti, toscanelli o cannellini (o un misto) già lessati
300 g di cavolo nero
200 g di verza
250 g di bietola
2 patate
Qualche cucchiaiata di salsa di pomodoro casalinga
150 g di pane raffermo toscano
1 rametto di rosmarino
2 litri di brodo vegetale
Olio extravergine d’oliva
Sale e pepe nero

Preparazione
In una pentola di coccio a bordi alti fare rosolare in qualche cucchiaiata d’olio un battuto di cipolla, carota, sedano e lo spicchio d’aglio. Aggiungere tutte le restanti verdure ben pulite e tagliate grossolanamente e fare rosolare per 10-15 minuti. Aggiungere i fagioli, metà ridotti in purea e l’altra metà interi, la salsa di pomodoro e il rametto di salvia. Regolare di sale e pepe e fare cuocere a fiamma bassissima per almeno 2 ore. Tagliare il pane raffermo a fettine e metterlo in una  zuppiera  di coccio alternandolo a mestolate di zuppa a cui avrete levato l’aglio e il rametto di rosmarino. Meglio sarebbe far riposare la ribollita per una giornata. Al momento di servirla riscaldare le porzioni direttamente in scodelle di coccio in forno oppure in un largo tegame dal fondo spesso. La ribollita si serve con un generoso filo di olio extra vergine d’oliva a crudo, rigorosamente toscano e per chi lo gradisse una spolverata di pecorino toscano. In abbinamento, rimaniamo nel territorio, con un Orcia Rosso Doc di buona struttura.