di Antonio Sigillo
(VAL D'ORCIA - terra d'eccellenza, n°7)
Se
stiamo visitando il territorio amiatino, compreso in parte nella provincia di Grosseto, è d’obbligo una tappa nell’antico borgo di Santa Fiora.
Qui, turisti ed amanti dell’arte non frettolosi, che avranno voglia di gustarsi
un borgo antico pieno di una millenaria storia, con attrazioni artistiche e
naturalistiche che solo una tipica località di montagna può offrire, troveranno
di grande interesse oltre il gradevole centro storico, la piazza principale
dove è collocato il Palazzo Municipale, e quello che resta delle antiche
fortificazionimedioevali. La piazza, come in tutte quelle dei centri montani e delle città in generale, è da considerarsi il salotto buono del territorio amiatino, qui, infatti, hanno luogo tutte le manifestazioni che sono il fiore all’occhiello del Borgo.
Dalla
piazza, percorrendo la via Carolina, si giunge nell’Arcipretura (delle Sante
Flora e Lucilla, patrone del paese). Qui si trovano un ingente numero di
terrecotte robbiane, forse le più rilevanti, insieme con quelle di Radicofani.
Si tratta di manufatti così graditi e versatili che potevano accontentare le
più elaborate esigenze di una clientela sia laica che religiosa.
Autentici
capolavori dell’arte toscana rappresentano un 'genere' così innovativo,
raffinato ed elegante, che il Vasari dichiarò che questa era: “un arte nuova, utile e bellissima”. Infatti,
queste “nuove sculture”, grazie alla “coperta
d’invetriato” erano cosi durevoli che nulla le “poteva offendere né acqua né vento”. Le opere furono commissionate
della famiglia dominante sul feudo di Santa Fiora, gli Sforza di Cotignola,
avvicendatisi agli Aldobrandeschi.
Fra le numerose opere che i Della Robbia
realizzarono nel territorio dell’Amiata, quelle realizzate da Andrea della
Robbia, dalla sua Bottega e da Benedetto Buglioni, per l’Arcipretura delle
Sante Fiora e Lucilla a Santa Fiora, precorrono e accreditano in maggior misura
le future inclinazioni formali di Andrea, proponendo già una dimostrazione
eloquente degli aspetti cui sarà connessa la fortuna delle terrecotte
invetriate. A prova di quanto affermato, l’opera raffigurante L’incoronazione della Vergine tra angeli
musicanti, San Francesco stimmatizzato, San
Girolamo penitente, e nella predella l’Annunciazione,
la Natività e l’Adorazione dei Magi, è una delle prime opere autografe che
Andrea realizzerà nel settimo decennio del Quattrocento. Il dettaglio del
paesaggio, l’ambientazione complicata, anche in relazione a quanto osserveremo
nelle opere mature, offre a paragone con gli invetriati di Luca un impianto
assai più raffinato e ingentilito, intriso di elaborazioni affollate espresse
da una vivace predilezione narrativa.
Da non dimenticare, inoltre, la Madonna della
cintola e santi, imponente pala d’altare nella quale le figure centrali di colore
bianco, si sporgono in fuori sul fondo azzurro e sono sormontate da una lunetta
con l’Eterno benedicente. In basso, la predella contiene delle storie
sacre, negli spigoli laterali lo stemma dei Sforza di Cotignola. Importante
anche una pala raffigurante il Battesimo
di Gesù. Una leggenda è sorta intorno a questa opera ed a un acino mancante
da uno dei grappoli d'uva posti nella cornice laterale del Battesimo di Gesù:
si dice che un soldato americano, durante l’ultima guerra mondiale, lo abbia
staccato incuriosito per appurare di quale materiale fosse fatto. Infine un Pulpito (decorato da tre pannelli
raffiguranti L’Ultima Cena, la Resurrezione e l’Ascensione),
un Crocifisso, un Ciborio per gli oli santi. Nelle immediate
vicinanze altre due opere: un Tabernacolo
contenente le Sante Flora e Lucilla, ed una pala d’altare raffigurante La Trinità
1) Nella parete destra dell’Arcipretura è collocata una
pala tripartita realizzata da Andrea della Robbia nel 1465. Incoronazione
della Vergine tra San Francesco stimmatizzato e Girolamo penitente.
Il Trittico è cosi suddiviso: al centro l'Incoronazione
della Vergine, e ai lati le Stimmate di San Francesco e San Girolamo penitente.
In basso nella predella, anch'essa divisa in tre scomparti, l'Annunciazione, la
Natività e l'Adorazione dei Magi. La pala presenta delle decorazioni con
festoni di foglie, frutta e fiori suddivise a mazzetti. Si
tratta di una replica con varianti
e in uno stile più avanzato dell’analoga pala in
Santa Maria degli Angeli ad Assisi. Si
può notare nel pannello di
S. Francesco il
ridotto numero di alberi e arbusti, e le nuvole indistinte. Nel pannello centrale, dove è raffigurata l’Incoronazione della Vergine, aumenta la dimensione per l’inserimento degli angeli musicali e adoranti, la
presenza dell’aureola sulla testa della Vergine in procinto di essere incoronata, le nuvole indistinte e l’eliminazione dei cherubini che sorreggono il trono
(come nell’analogo Trittico di Assisi). Nel S. Girolamo nel deserto, la volgarizzazione del
tipo, l'omissione dei libri
e l'introduzione insignificante di un
serpente. Il supporto ha perso
la distinzione del suo prototipo e, nella predella, l'Annunciazione, Presepio e Adorazione dei
Magi sono variamente modificati per adattarsi ai rettangoli più
grandi di quelli già proposti in altre opere. Il commento finale lo lasciamo
allo studioso fiorentino Giancarlo Gentilini il quale così giudica l’opera: Commissionato
intorno al 1465 dai conti Attendolo Sforza di Cotignola - forse da Guido -
signori di Santa Fiora (Mazzolai, 1965), che si confermeranno assidui
committenti di Andrea della Robbia, il Trittico di Santa Fiora inaugura, prima
ancora delle pale della Verna, il caratteristico e celebrato impiego delle
tavole invetriate in quelle località montane, umide e gelide, "dove niuna
pittura ne' anche pochissimi anni si sarebbe conservata" (Vasari [1568],
II, p. 179), e costituisce una precoce, significativa testimonianza della loro
diffusione nelle chiese e nei monasteri legati all'Osservanza bernardiniana
(cfr. Salmi, 1969; Pope-Hermessy, 1979; Gentilini, 1983/b).
2) Nella parete di sinistra a fianco dell’altare
maggiore, è collocato il Ciborio
Eucaristico (come conferma la dicitura nello sportello ligneo centrale ricostruito
nell’Ottocento), reca la scritta in latino “OLEA
SANCTA”, realizzata da Andrea della Robbia nel 1470.
La struttura architettonica che la conteneva oggi
è scomparsa, ma è
possibile che i pilastri e l’architrave siano stati identici, a
quelli del tabernacolo di S.
Maria della Neve. Resta solo il rilievo centrale e la gocciola. Il rilievo centrale è illustrato
con forte sentimento religioso. Dio Padre in gloria coronato da cinque cherubini, le
figure sono miti e dignitose, due angeli adoranti
si trovano ai lati della porticina. Nel fondo della scena si intravede il
motivo delle nuvole a rilievo tratteggiate di bianco, tema caro ad Andrea.
Nella gocciola due teste di cherubini alati,
Non ci sono tende tirate
indietro, come nei tabernacoli dei SS. Apostoli e in
Borgo Sansepolcro,
né una sala a volta, come in molti altri. La scena è fuori di casa in parte, se non del tutto,
in cielo. Come in Luca nel ciborio di
marmo a Santa Maria a Peretola, c'è un disco che incornicia lo
sportello dove si tiene il Calice.
Nel tabernacolo di Luca il disco conteneva l'immagine
incorniciata della Santa Colomba.
Così, con l'immagine di Dio Padre nella lunetta, e il figlio nello Sportello,
la Trinità è stata completamente simbolizzata. Idea questa che
non sarà ripetuta in opere successive. Troviamo alquanto
elaborato l’inserimento dei due angeli in piedi in adorazione, la mancanza
della Colomba dello Spirito Santo ed inoltre che i due cherubini nella gocciola
sorreggono con le ali una mela cotogna, l'emblema araldico
degli Sforza.
E’, forse, per
pura immaginazione e ‘amusement’, che la mela cotogna può essere interpretata come l'emblema del peccato. Ecco che allora il tabernacolo dovrebbe salvarci dal peccato attraverso il corpo e sangue di Cristo. Ma tale
interpretazione non è supportata da
una documentazione che mostri tabernacoli simili nella produzione della bottega
di Andrea della Robbia. Così siamo
“costretti” a credere che la mela
cotogna sia stata introdotta, come per le altre presenti
nell’Arcipretura delle SS. Flora e Lucilla di Santa Fiora, grazie alla committenza
degli Sforza.
3) A
sinistra dell'ingresso è collocato il fonte battesimale, davanti al quale si
trova la bella pala robbiana realizzata da Andrea della Robbia nel 1480. Battesimo di Gesù con San Giovanni e gli Angeli.
Un’opera degna della nostra
attenzione, che funge da decorazione del fonte
battesimale della chiesa, è il
Battesimo del Cristo. In alto tra le mani tese di Dio Padre vi è un
cartiglio con una iscrizione che tradotta dal latino leggiamo: che i cieli si aprirono,
che lo Spirito di Dio scese su di lui nelle sembianze di una colomba,
e venne una voce dal
cielo che diceva "questo è il mio Figlio diletto nel quale mi sono compiaciuto". San
Giovanni, inginocchiato versa l'acqua del Giordano sulla testa
del Cristo che è rappresentato, con le mani giunte in una nobile posa di
raccoglimento. Sopra il capo di
Cristo è la Santa Colomba e ancora più in alto le
mani tese di Dio Padre. La scena è completata da un gruppo di due Angeli che sorreggono dei panni. La
rappresentazione del Battesimo si svolge
in un panorama ben equilibrato dove gli alberi verdi con i tronchi marroni appaiono
sulle rocce di colore blu grigio in
mezzo ai quali scorre la luce verde del fiume Giordano. Il Battista in ginocchio, versa l'acqua sul capo del
Cristo in piedi. I
due angeli possono essere paragonati
agli angeli più affascinanti che
Andrea realizzò per Arezzo e altrove. Nella lesena
semicircolare sono presenti dei grappoli indipendenti di frutta in
gruppi di tre, con un nastro svolazzante
solo nella parte superiore del fregio arcuata. Nella
predella vi è una fila di mele cotogne, ancora una volta l'emblema della
famiglia Sforza Cotignola.
Sulla superficie interna del telaio e sulla parete di base vi sono piastrelle con
i tre modelli
trovati alla Verna: quadrilobi
racchiudono rosette, cubi, e teste di diamante. I
pilastri imitano pannelli di colore verde e rosso porfido. Il Battesimo
di Cristo, è il modello classico desunto
da Giotto, tanto per citare un esempio,
che lo ha rappresentato negli affreschi della
Cappella degli Scrovegni a Padova.
4) In un
pilastro della navata centrale è posto il Pulpito, diviso in tre
pannelli sostenuti da colonne di pietra serena realizzata da Andrea
della Robbia nel 1480. Nella
faccia esterna e più vasta, è raffigurata l'Ultima
Cena, nel pannello di destra la
Resurrezione, nel pannello di sinistra l’Ascensione.
Questo pulpito, che è un quadrato, risulta essere stato danneggiato e ricostruito. Un pannello anteriore è fortunatamente conservato e contiene la
rappresentazione dell'Ultima
Cena, per celebrare la festa di Pentecoste. Giuda l’Iscariota, che riceve il boccone da Gesù, è seduto dall’altra parte del tavolo; in primo piano, una variante, “più affollata”,
rispetto allo stesso rilievo proposto per il Musée di
Saint Omer, Saint-Denis in Francia. Il gruppo degli Apostoli
è più religiosamente radunato. Lo sfondo blu manifesta racchiude ed aggetta la scena. A
destra e a sinistra i pannelli sono decorati con dei grandi
vasi blu senza
maniglie contenenti rami di ulivo
legati con nastri svolazzanti. Alle estremità
vi sono dei semplici pilastri.
Sui lati corti del pulpito vi è
il rilievo della Resurrezione. L’opera è vicina alla lunetta che Andrea della Robbia realizzò,
nel 1495 ca., per il portico dell’Accademia a Firenze ma, di qualità meno
elevata. Dall'altro lato corto è il rilievo dell'Ascensione, un po’ simile a quello del Museo Nazionale del Bargello a Firenze, 1490, ma con
sfondo policromo naturalistico e paesaggistico
reso con l’accentuazione di alberi e poggi
rocciosi di montagna con un fondale di colore blu.
5) Nella navata di sinistra è collocata una grande ed elaborata pala d’altare
realizzata da Andrea della Robbia nel
1490. L’Assunta che dona la cintola a San
Tommaso, tra i Santi Fiora che tiene in mano la palma, simbolo del suo
martirio, Francesco e Giorgio.
E’ capitato ad Andrea della Robbia di trattare
diverse volte lo stesso soggetto ma in epoche differenti. Confrontandoli fra
loro troviamo una prova in più a favore dell’opera che tra un po’ tratteremo.
L'esempio più tipico che possiamo citare è il soggetto raffigurante la “Madonna
della Cintola” che Andrea riprende
a Santa Fiora venti
anni dopo averla realizzata alla Verna.
Il confronto è qui tanto più interessante
in quanto siamo alla presenza di due opere di grande bellezza; sarebbe anche
difficile dire quale delle due deve essere preferita.
A Santa Fiora c'è più esperienza, più studio, più movimento, maggiore
abilità nel modellare i drappeggi delle vesti e un più forte aggetto nei rilievi. Malgrado
tutto questo sforzo, ci viene da chiederci se lo stile
dell’opera della Verna non sia il primo dei prototipi elaborati da Andrea, uno
dei più belli. Nell’opera di Santa Fiora, secondo i caratteri dell’arte di
Andrea nei suoi ultimi anni, si notano particolarmente la grossezza delle
membra e il loro rilievo accentuato, specialmente negli
angeli che circondano la Mandorla.
Sul timpano i due angeli in adorazione sono da rimarcare per la vivacità dei loro movimenti e l'ardore della loro espressione.
La figura di San Tommaso, molto bella, ricorda, nello
stile dei drappeggi, l'angelo
nella Annunciazione dell'Ospedale degli Innocenti a Firenze.
Intorno alla Vergine le teste dei
cherubini che, nella prima opera di Andrea, erano plasmati in
bassorilievo ed in maniera alquanto
monotona, qui sono trattati in modo vario ed alcuni si staccano in pieno rilievo. Sappiamo che
Andrea usa le teste dei cherubini per arricchire gli aspetti architettonici
delle sue pale ed, infatti, li ritroviamo negli architravi o nelle lesene:
quest’elemento decorativo fu una felice intuizione ed ebbe un successo così
gradito che fu costretto dalla committenza a ripeterlo non senza un po’ di
monotonia.
I primi esempi di queste teste di cherubini si vedono nella Madonna che adora il Bambino
e nella Madonna della Cintola alla Verna e nell’analogo soggetto
posto nella Collegiata di Foiano della Chiana. Le più
belle si trovano, però, nelle opere di data posteriore, nei timpani della Cattedrale di Prato e di Pistoia, nell’Incoronazione della
Vergine, nella chiesa dell’Osservanza
a Siena, nella Crocifissione
della Verna,
nella Natività di
Sansepolcro, nell’Annunciazione dell'Ospedale degli Innocenti,
nell'altare di marmo in Santa Maria delle Grazie
ad Arezzo, tra il 1487-1493. Andrea della Robbia eseguì l'ornamento in
marmo bianco statuario intorno al dipinto di Spinello Aretino, impiegando oltre
150 elementi decorativi.
Nell’opera di Santa Fiora, per la prima volta, vediamo Andrea che, nella decorazione
delle lesene, rinuncia agli arabeschi
e li sostituisce con una serie di
piccole statue, metodo che ritroviamo in un'altra delle
sue opere della stessa epoca, l'altare di marmo ad Arezzo. Queste statue sono bellissime specialmente il
San Sebastiano,
degno di essere paragonato a San Sebastiano all'altare del Camposanto di Arezzo. Affascinante il gruppo
dell’angelo e di Tobia.
La predella comprende
tre temi, prodotti appositamente per questa pala, e non molto conosciuti nella
produzione legata ad Andrea: Gesù in
mezzo ai Dottori, Il Battesimo di Cristo e la Deposizione nel Sepolcro. Queste tre
piccole composizioni, specialmente l’ultima, sono di una
sublime bellezza
e omaggio al celebre dipinto dell’amico Verrocchio. In
alto l'Eterno Padre benedicente, ai lati due Angeli oranti, il Dio Padre ha in
mano il libro della vita aperto alle pagine contrassegnate dalle lettere
"Alfa" e "Omega", La prima e ultima lettera dell’alfabeto
greco, usate nell’Apocalisse (1,8: «Ego sum alpha et omega, principium et
finis»; cf. 21,6; 22,13) come simbolo dell’eterna essenza del Cristo.
In loro sono riunite, al più alto grado, le
magistrali qualità di Andrea: sobrietà di composizione,
nobiltà nelle figure, ardore nell’espressione. Da ammirare il movimento della Vergine che stringe la mano del figlio e gli da l’ultimo bacio mentre Maria Maddalena tenta di strapparla da questo doloroso abbraccio. L’opera mostra l'influsso delle più concitate
sperimentazioni ispirate all’arte laurenziana che, in questi anni, manifestarono
un’intensa complicazione e ricchezza formale. Piccole ma sostanziali differenze
vanno messe in evidenza tra l’opera di Santa Fiora e l’analoga opera realizzata
tra il 1480/85 in Santa Maria degli Angeli, alla Verna: il copricapo della
Vergine è più accurato e il riempimento della pala con più angeli e cherubini risulta
più frenetico
6) In una nicchia
collocata nella navata destra, ornata da una cornice in pietra, è collocato, un
piccolo e gradevole Crocifisso
policromo, attribuito ad Andrea della Robbia e alla sua bottega, datato al 1490,
già nel cimitero di San Biagio, e
dopo l’ampliamento Settecentesco dell’Arcipretura, in sagrestia; l’attuale
collocazione risale al riordino delle opere del 1942.
(7) Il Crocifisso, fa coincidere le linee
generali dei modelli del primo Quattrocento fiorentino con leggere variazioni: il
Cristo ha i capelli di colore senape
attorno ai quali è una corona verde, la testa è lievemente piegata verso sinistra, il
perizoma prolungato fino alle ginocchia, le gambe un po' arcuate, l’addome è marcato
in alto dalla gabbia toracica, il teschio di Adamo è collocato in un vano tra
le pietre dove è conficcata la croce.
Il prototipo del nostro Crocifisso e da riconoscersi nella Trinità fra i Santi Donato e Bernardo, che Andrea della Robbia
realizzò tra il 1485-1486 per la confraternita della Trinità, oggi nel Duomo,
ad Arezzo. Infatti, qui ritroviamo il color senape dei capelli e la corona
verde che cinge il capo. La composizione è la prova della creativa raffinatezza
e dell’immenso virtuosismo plastico raggiunto da Andrea intorno al 1490.
Le mattonelle decorative con la raffigurazione ancora
una volta delle mele cotogne, sono state rimontate al contrario:
il frutto andava collocato con le foglie in basso. Nel basamento e nel
pavimento una serie di piastrelle in ceramica e di falsi marmi ad
imitazione del porfido. Di colorazione verdi quelle laterali. Centralmente sono
presenti motivi con disegni geometrici, variamente proposti in altre
composizioni come nella predella raffigurante la Natività e l’Adorazione dei
Re Magi, nell’Altare del Dio Padre Benedicente, realizzato da Andrea a Montepulciano
nel 1484.
8) Tabernacolo in terracotta invetriata, composto da un architrave a festoni vegetali, ornato da mensola e sorretto da lesene con capitelli ionici, realizzata da Andrea della Robbia e della sua Bottega intorno al 1470. Al suo interno le figure delle SS. Flora e Lucilla.
Sopra la porta d'ingresso della chiesetta conosciuta come la Madonna delle Nevi,
detta anche
"della Piscina" per la vicinanza con il complesso della
Peschiera, dove si raccolgono le acque del Fiora,
vi è un tabernacolo
rettangolare semplice e sobrio. Il fregio è decorato
con rose di colore verde, i pilastri, architrave
e la cornice sono
smaltate bianco. Sotto
l'architrave in una
nicchia rotonda sormontata
vi sono le due sante. Santa Flora
con i capelli sciolti, porta a palma
verde del martirio e un libro, Santa Lucilla, con
il velo sul capo e il volto più maturo, nelle mani stringe un
libro simbolo di dottrina. Lo sfondo della nicchia è blu. Sembra
probabile che questo tabernacolo, così come la pavimentazione all'interno della chiesa si riallacci al tempo
del Conte Guido
Sforza.
9) Nella strada che
conduce a Castell’Azzara, sulle pendici del Monte Calvo, poco prima del centro de
La Selva incontriamo, appartenente ancora al territorio di Santa Fiora, la chiesa della Santissima Trinità della Selva convento
francescano. Entrando nella chiesa nel secondo altare di destra, è collocata, La Trinità. Una grande pala, attribuita
a Benedetto Buglioni e datata 1515 c.a.
La pala d’altare è stata realizzata nel terzo
decennio del Cinquecento. Mostra l’Eterno Padre, in abito apostolico e con
tiara pontificale, mentre sostiene il Figlio in Croce. Il modellato più intenso
e delicato rende simili gli effetti della Pala a quella di Radicofani. Di gusto
prettamente manieristico è la scelta di non coprire con l’invetriatura il
volto, le mani dell’Eterno Padre e dell’intera figura del Cristo crocifisso con
il classico colore bianco, ma rifinirlo con la coloritura a tempera grassa per rendere
l’opera più esplicita e naturalistica e l’aspetto più formale e religioso.
Lo studio attributivo dei due Crocifissi ha
portato a varie conclusioni. Nell’800
e nel ‘900 le opere sono state aggiudicate, dai diversi studiosi che le hanno
analizzate, ora appartenenti ai membri dalla famiglia dei Della Robbia ora ai Buglioni
(Benedetto e Santi). Inoltre le due opere vanno retrodatate anche alla
luce degli ultimi studi effettuati. Infatti, il Marquand (1922) datava le due Crocifissioni
tra il primo e il secondo decennio del cinquecento, ma uno studio più
aggiornato dello studioso fiorentino Giancarlo Gentilini, rileva che la datazione
può essere anticipata sia grazie alla lunetta
di Santa Maria Nuova a Firenze, che alle recenti precisazioni sui lavori di
Bolsena, già creduti posteriori al 1503.
Biliografia:
- 1894 A. Ademollo, I monumenti medioevali e moderni della Provincia di Grosseto, Grosseto
- 1897 F. Brogi, Inventario Generale delle opere d’arte della Provincia di Siena, Siena
- 1897 M. Raymond, Les della Robbia, Florence
- 1902 M. Cruttwell, Luca e Andrea della Robbia, London.New York
- 1921 A. Marquand, Benedetto and Santi Buglioni, Princenton
- 1922 A. Marquand Andrea della Robbia and His Atelier, Vol. II, Princenton
- 1965 A. Mazzolai, Le robbiane di Santa Fiora, Santa Fiora
- 1969 M. Salmi, Fortuna di Andrea della Robbia, in ‘ Commentari’, XX, pp. 270-280
- 1979 Pope-Hennessy J, Thoughts on Andrea della Robbia, in “Apollo”, CIX, pp. 176-197
- 1983 G. Gentilini, Luca e Andrea della Robbia: nascita e primi sviluppi delle terrecotte
- Robbiane, (tesi di laurea, Università di Pisa)
- 1987 B. Santi, Il Monte Amiata. Itinerario Storico-Artistico, Genova
- 1990 C. Prezzolini, Le robbiane e i ripristini nella Pieve di Santa Fiora, in “Amiata Storia e Territorio, III, n°9, Dicembre, pp. 23-29.
- 1991 G. Gentilini, I Della Robbia, la scultura invetriata del Rinascimento, Firenze
- 1992 B. Santi & C. Prezzolini, Le robbiane di Radicofani e Santa Fiora, Siena
- 1998 I Della Robbia, e “l’”arte nuova” della scultura invetriata, a cura di Giancarlo Gentilini, Fiesole, catalogo Mostra, Firenze