Montalcino – Un libro frutto di anni di lavoro e di raccolta “orale” di materiali, scritto da due montalcinesi DOC, Massimo Bindi e Francesco Matteucci. Una pubblicazione realizzata a quattro mani, due generazioni diverse, che attraverso il filo conduttore della caccia raccontano un mondo e valori ormai dimenticati o perlomeno superati. L’opera è un viaggio fra storie di caccia e di uomini, aneddoti e racconti di una collettività, fino ad ieri, intensamente legata al bosco e alle stagioni e poi, bruscamente cambiata, sparita. Emozioni, riti, fantasie, passioni, burle e scherzi ambientate nel cuore della
Toscana e raccontate nello stile tipicamente toscano.
Il “Feudo di Montalcino”, Patria del Brunello, ultimo baluardo delle libertà comunali e della Repubblica di Siena e il territorio della Val d’Orcia, paesaggio culturale Patrimonio Mondiale dell’Umanità, sono il “covo naturale”, l’ambientazione di vicende vere, più o meno ritoccate...
Due generazioni apparentemente differenti, forse contrastanti e distanti fra loro, che poi, invece, si scoprono legate dallo stesso gene. Due uomini che, segnati nel proprio DNA dalla costante ricerca della vita all’aria aperta, si rendono conto incontrandosi e parlandosi, di aver vissuto coltivando le stesse passioni e debolezze.
Un susseguirsi di storie di caccia, un intrecciarsi di racconti di vita sociale ambientati nei piccoli centri rurali e nelle campagne valdorciane nel secolo appena trascorso per “cogliere in un libro l’essenza di un territorio attraverso il racconto e la descrizione di toponimi, genti, profumi, piatti tipici. Le guide turistiche cartacee ci mostrano solo la superficie, l’esteriorità di una regione attraverso la didascalica descrizione del paesaggio o dell’architettura, ma per cogliere l’anima di un luogo bisogna parlare con chi ha vissuto quella terra e ascoltare l’intima motivazione e l’orgoglio che spingono le persone a raccontare le proprie esperienze di vita, le proprie radici, la propria storia. Ecco cosa caratterizza i racconti di Massimo e Francesco, due generazioni di ilcinesi, a confronto che partono però dall’esperienza comune di un amore incondizionato nei confronti della propria terra, della sua storia, delle sue genti e dei loro semplici gesti; fra questi l’esercizio della caccia, la raccolta dei funghi e la vendemmia vissuti, non come sport, passatempo o lavoro, ma come vero stile di vita per conoscere la campagna e la natura che ci circonda prelevando i suoi preziosi frutti ma conservandoli con gelosia e amore per le generazioni future”.
Dimostrazione ulteriore del forte legame e amore dei due autori verso la propria terra è la loro stessa storia: Francesco ha, materialmente, scritto il primo disciplinare del Brunello nel 1967; il secondo è stato il principale attore dell’iscrizione del Paesaggio Culturale della Val d’Orcia quale Patrimonio Mondiale dell’UNESCO nel 2004. Infine, come si trova sottolineato nell’opera, nel leggere le pagine di Mirando al Passato bisogna essere consapevoli che i cacciatori sono per antonomasia quelli con il “pallino” dell’inventiva migliorativa nel raccontare la realtà dei fatti…
Toscana e raccontate nello stile tipicamente toscano.
Il “Feudo di Montalcino”, Patria del Brunello, ultimo baluardo delle libertà comunali e della Repubblica di Siena e il territorio della Val d’Orcia, paesaggio culturale Patrimonio Mondiale dell’Umanità, sono il “covo naturale”, l’ambientazione di vicende vere, più o meno ritoccate...
Due generazioni apparentemente differenti, forse contrastanti e distanti fra loro, che poi, invece, si scoprono legate dallo stesso gene. Due uomini che, segnati nel proprio DNA dalla costante ricerca della vita all’aria aperta, si rendono conto incontrandosi e parlandosi, di aver vissuto coltivando le stesse passioni e debolezze.
Un susseguirsi di storie di caccia, un intrecciarsi di racconti di vita sociale ambientati nei piccoli centri rurali e nelle campagne valdorciane nel secolo appena trascorso per “cogliere in un libro l’essenza di un territorio attraverso il racconto e la descrizione di toponimi, genti, profumi, piatti tipici. Le guide turistiche cartacee ci mostrano solo la superficie, l’esteriorità di una regione attraverso la didascalica descrizione del paesaggio o dell’architettura, ma per cogliere l’anima di un luogo bisogna parlare con chi ha vissuto quella terra e ascoltare l’intima motivazione e l’orgoglio che spingono le persone a raccontare le proprie esperienze di vita, le proprie radici, la propria storia. Ecco cosa caratterizza i racconti di Massimo e Francesco, due generazioni di ilcinesi, a confronto che partono però dall’esperienza comune di un amore incondizionato nei confronti della propria terra, della sua storia, delle sue genti e dei loro semplici gesti; fra questi l’esercizio della caccia, la raccolta dei funghi e la vendemmia vissuti, non come sport, passatempo o lavoro, ma come vero stile di vita per conoscere la campagna e la natura che ci circonda prelevando i suoi preziosi frutti ma conservandoli con gelosia e amore per le generazioni future”.
Dimostrazione ulteriore del forte legame e amore dei due autori verso la propria terra è la loro stessa storia: Francesco ha, materialmente, scritto il primo disciplinare del Brunello nel 1967; il secondo è stato il principale attore dell’iscrizione del Paesaggio Culturale della Val d’Orcia quale Patrimonio Mondiale dell’UNESCO nel 2004. Infine, come si trova sottolineato nell’opera, nel leggere le pagine di Mirando al Passato bisogna essere consapevoli che i cacciatori sono per antonomasia quelli con il “pallino” dell’inventiva migliorativa nel raccontare la realtà dei fatti…