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I comuni medievali della Val d’Orcia

di Anabel Thomas        
(VAL D'ORCIA - terra d'eccellenza, n°6)
Nel 1310 gli Statuti dei Capitani del Popolo di Siena ricordano che il territorio senese fu diviso in nove vicariati, ciascuno dei quali consisteva di un certo numero di Comuni rurali. Tre dei nove vicariati (Berardenga, Scialenga, Val di Chiana) derivano il loro nome o da famiglie signorili che controllavano quella zona o da caratteristiche meramente geografiche. Una riorganizzazione fra 1310 e 1313 fu basata sulle società
militari cittadine, delle quali si curava l’armamento e la gerarchia interna. Ogni vicariato comprendeva un Comune ‘centrale’.
Sant’Angelo in Colle fu nominato il secondo dei nove vicariati. Quarantuno altri Comuni sono stati inclusi nel vicariato di Sant’Angelo in Colle, fra i quali Camigliano e Argiano. Questo grande vicariato era delimitato da un lato da quello di San Quirico d’Orcia e da un altro da quello di Monticiano. A nord, il vicariato di Sant’Angelo in Colle comprendeva il territorio oltre Murlo e si estendeva fino alla città stessa di Siena. Era veramente immenso.
Dirigeva ogni vicariato un capitano investito di poteri militari, giudiziali e di polizia. È chiaro che il sistema del vicariato aveva precisi scopi militari. Ogni capitano (con i propri ufficiali) aveva l’obbligo di fornire un contingente di cinquemila uomini bene armati. Ma non basta. Nel 1337, il Governo dei Nove procede a una riorganizzazione territoriale del contado con l’allargamento del numero dei vicariati, che porta a 12. Con questa nuova manovra possiamo dire che si formò l’unione dei Comuni del contado senese e si rese sicuro il potere di Siena.
Nel sistema preesistente, i poteri assunti dai capitani dei vicariati appartenevano ai singoli rettori dei vari Comuni.  Il titolo ‘Rettore’ fu abolito nel 1291. Poco dopo il Governo dei Nove creò il nuovo titolo di ‘Capitano del Vicariato’. Sotto molti aspetti i rettori erano i primi sindaci. Sappiamo che i rettori e i loro vicerettori hanno goduto di una certa autonomia nei loro propri Comuni. Il rettore era il capo dell’amministrazione e solo lui si occupava della politica. Spesso il rettore ha anche assunto il ruolo del ‘camerario’ o tesoriere. Nel gennaio 1307/8, per esempio, troviamo Bindo di Accurso di Sant’Angelo in Colle nominato ‘camerarius, rectore offitiale ipsius castri’.  Certo è che con il vecchio sistema del rettorato, il rettore/sindaco era già in grado di assumere un ruolo importantissimo nel suo proprio Comune, profondamente coinvolto com’era in prima persona, investito del potere di controllare gli affari locali e la pianificazione  finanziaria. Anche il vicerettore era molto influente. Da tanti punti di vista i vicerettori erano ancora più potenti dei rettori perché spesso erano proprio loro che si occupavano della legge. Tante volte il vicerettore veniva nominato ‘notarius offitialis’ o notario del Comune.  Il vicerettore era anche responsabile dell’organizzazione delle riunioni del consiglio comunale, e della preparazione dell’ordine del giorno. Il vicerettore aveva la responsibilità di individuare le varie istanze da portare in consiglio.  Era  anche il principale arbitro degli affari locali. Prendeva le note della riunione in consiglio e annotava le spese comuni. Potremmo dire che il vicerettore sapeva tutto del Comune: solo lui poteva influenzare gli affari locali in tutti loro dettagli più minuziosi. Il vicerettore assumeva in più un ruolo importantissimo nel collegare il contado e la città. E forse solo lui era in  grado di conoscere veramente bene il suo paese. Non c’e` dubbio però che sia il rettore sia il vice-rettore si siano sentiti veramente coinvolti nel loro proprio Comune. C’è da chiedersi se il titolo di ‘Rettore’ o ‘Signore naturale’ non sia stato abolito dal governo senese in conseguenza del campanilismo dei rettori e dei loro sottufficiali.
Con la creazione dei vicariati i compiti dei vecchi rettori/sindaci furono ridotti se non distrutti.  Come vedremo il sistema  del vicariato richiama in parte il concetto che sta dietro alla legge Calderoli ed la nuova Unione dei Comuni, specialmente per quanto riguarda il piano di centralizzazione e per il desiderio di fondere i piccoli Comuni. Ma possiamo anche notare delle profonde differenze. È chiaro che il vicariato senese funzionava con regole abbastanza diverse da quelle della nostra nuova Unione dei Comuni. Spesso, i Comuni che ora riteniamo piccoli hanno assunto un ruolo più importante di quelli più grandi. Può sembrare un’ironia, per esempio, ma il paese di Sant’Angelo in Colle ha assunto un ruolo centrale all’interno del sistema del vicariato, mentre altri Comuni più grandi, come quello di Montalcino, sono rimasti fuori del sistema politico nel primo Trecento.  Settecento anni fa, tuttavia, Sant’Angelo in Colle costituiva una parte essenziale nel piano di espansione militare di Siena. Già nel 1310 Sant’Angelo in Colle è un ‘gran vicariato’ e, come abbiamo visto, quel castello di frontiera fu, ancora nel 1337 nominato il Comune principale di uno dei nove vicariati.

Molti dei nuovi vicariati comprendevano vaste zone. Come abbiamo visto, il vicariato di Sant’Angelo in Colle comprendeva 41 Comuni. Altri vicariati erano ancora più grandi. Quello di Mensano comprendeva 43 Comuni; quello di Beradenga 44. Altri vicariati ancora – come Percena (38), Monteciano (33) – erano più piccoli. Ma anche quello più piccolo, San Quirico d’Orcia, comprendeva 10 Comuni, fra i quali Vignone, Castiglione d’Orcia, Seggiano, Castelnuovo dell’Abate, Monticchiello e Corsignano. I compiti delle varie amministrazioni sono sicuramente molto gravosi. Per esempio, un solo vicariato si è assunto la responsibilità di controllare sia le strade maggiori fra Siena e Firenze che quelle fra Siena e i territori nemici a sud-ovest e a sud-est della città. Era troppo facile perdere di vista i piccoli (ma ugualmente importanti) problemi esistenti all’interno dei diversi Comuni dei vari vicariati.

Ma la grandezza dei vari vicariati non era il solo problema esistente. Il precariato ne costituiva un altro. Sotto il Governo dei Nove fu deciso che ogni capitano del contado senese era costretto ad assumere un suo ruolo nel proprio vicariato per soli sei mesi. Possiamo capire bene il perché. Il precariato del ruolo creava un ostacolo per i vari capitani se per caso avessero dimostrato qualche parzialità per gli affari del loro proprio Comune invece di lavorare per il bene generale dell’intero vicariato. Dimorando nel castello del Comune centrale, era troppo facile sentire un legame speciale per un solo Comune, anche se per legge il capitano era costretto a vigilare su tutto il suo distretto e che aveva avuto in cura l’intera popolazione del vicariato. Ma in pratica era troppo facile chiudere un occhio sia sui problemi locali che sui problemi degli altri Comuni. Il precariato dell’ufficio del capitano ha dovuto necessariamente diminuire l’efficienza dell’incarico.

Detto questo, in apparenza, il sistema del vicariato ha offerto la possibilità di creare un legame speciale fra il capitano e il Comune centrale. Primo: il capitano era pagato dalla comunità. Secondo: ci dimorava di persona. Dunque, al minimo egli sembrava almeno in grado di occuparsi dei problemi locali. Ma c’erano tanti ostacoli. In ognuno dei sei mesi del suo lavoro ufficiale, il capitano era costretto a risiedere soli sei giorni nel Comune centrale del suo vicariato. Come avrebbe potuto capire al meglio i problemi quotidiani di una località se ci risiedeva solo una settimana al mese? Veramente, questo era troppo poco tempo per conoscere bene una sola località, per non parlare poi delle altre. Per capire bene come era la situazione locale, il capitano (come il preesistente rettore) aveva bisogno di sentire spesso le voci locali: se non ogni giorno almeno una volta alla settimana. Ma con il sistema del vicariato il capitano avrebbe potuto essere già partito dopo la prima udienza settimanale. Come era possibile dunque che conoscesse bene il ‘suo paese’ ed allo stesso tempo affrontasse con cura i vari problemi locali degli altri Comuni sotto il suo controllo se il capitano era costretto a lasciare il distretto dopo soli trentasei giorni di lavoro? Con  il vecchio sistema del rettorato, nel quale ogni giorno il rettore e il suo vice si occupavano di  tutti gli impegni del loro proprio Comune, c’era una continuità di rapporto fra la gente e l’amministrazione locale che avrebbe potuto durare per anni. Con il sistema del vicariato, un solo Comune traeva il minimo vantaggio della scarsa presenza del capitano e c’era poca continuità.

Nonostante questo, dobbiamo ritenere logica l’introduzione del vicariato da parte del Governo dei Nove nel primo Trecento. Il vecchio sistema del rettorato metteva troppo in evidenza il federalismo. Per i Senesi dell’epoca medievale, il concetto di una amministrazione centrale era essenziale sia per l’adesione di tutti quei Comuni recentemente sottoposti alla città di Siena che la continuità stessa del potere senese.

Di più la città di Siena poteva prosperare e continuare ad essere forte solo quando dei fedeli cittadini senesi fossero entrati in carica nei Comuni rurali. È interessante che il successo di questi ufficiali sia dipeso in gran parte dall’idea che loro non potessero essere corrotti data la breve permanenza nei luoghi assegnati. Inoltre era buon senso mettere solo un ufficiale fedele in un Comune centrale invece di disperderne molti nei diversi  Comuni di un vicariato. Non solo costava di meno, ma era meno facile fare dei complotti contro il governo senese o dare una mano agli indesiderabili progetti locali. Il rischio di danneggiare il benessere della città o le finanze dell’amministrazione centrale erano sempre presenti al Governo dei Nove. Un controllo centrale è stato stabilito dappertutto.

Detto questo, ogni tanto doveva essere conveniente per il capo del vicariato trovarsi un po’ distaccato dagli affari locali. Il ruolo del capitano era diverso da quello del rettore o del vicerettore per il fatto che non si occupava direttamente delle finanze o della legge. Con il sistema del vicariato il capitano comandava notai e altri ufficiali da una certa distanza. Questi ultimi sono stati i veri responsabili anche se non lo erano direttamente nei confronti dell’amministrazione centrale. Anche quando hanno commesso errori non sono stati chiamati a renderne conto in pubblico. Al termine del suo mandato è stato il capitano (e non i suoi ufficiali) a subire il giudizio del Maggior Sindaco senese. Per di più, ogni successo del capitano è sempre dipeso dalla giustizia senese e non dall’opinione del proprio Comune in cui lui ed i suoi ufficiali avevano lavorato. È chiaro che l’opinione locale non ha avuto molta importanza dentro il sistema del vicariato.
A parte i vantaggi del ‘nepotismo-centrale’ nel giudicare il lavoro del capitano del vicariato, qualche volta anche la distanza creata dalla decentralizzazione dei vari Comuni è stata utile al governo centrale. Sembra che il Governo dei Nove volesse rinforzare il suo dominio a sud di Siena, al minimo costo. Quei cittadini senesi che erano pronti ad assumere il ruolo di protettori delle frontiere del territorio senese, hanno sempre ricevuto un sostegno politico, ma spesso non sono sostenuti finanziariamente. Un buon esempio è Castelfranco di Paganico, un paese posizionato a sud di Sant’Angelo in Colle. Nel marzo 1295, gli ufficiali del Consiglio Generale di Siena registrano nel verbale degli atti di una riunione il compenso dovuto a coloro che hanno deciso di trasferirsi al ‘Castello e Terra di Castelfranco di Paganico’ in seguito alla costruzione di quello che sarebbe effettivamente divenuto un nuovo paese oltre il fiume Orcia.
Molti di questi cittadini senesi hanno costruito le loro proprie case dentro Castelfranco di Paganico a spese loro ed in seguito hanno chiesto i poderi promessi dal governo centrale per lavorare la terra e potersi così sostentare. Nella primavera del 1295 alcuni dei coloni minacciarono di ritirarsi in città perché non avevano ricevuto tale sostegno. Prendendo nota del fatto che il nuovo paese era stato creato ‘per conservazione e utilità delle Terre di Maremma, e per sicurezza de viaggiatori e mercanti dalle ruberie dei ladri e assassini di strada’, gli ufficiali senesi furono costretti a considerare come dividere il territorio di Castelfranco di Paganico in modo che i loro propri cittadini potessero ottenere un alloggio adatto.
Nel caso di Castelfranco di Paganico è stato soprattutto importante per il governo centrale che i loro frontalieri rimanessero contenti. Nessuno paese creato come rifugio oppure sosta sicura per i viaggiatori del contado a sud di Siena poteva sopravvivere senza il supporto di gente locale fedele allo Stato senese. Ugualmente, i coloni senesi non sarebbero rimasti alla frontiera del territorio senese se non avessero potuto guadagnarsi da vivere. Tuttavia, e indipendentemente dalla forma amministrativa che il Governo dei Nove voleva adottare nei Comuni a sud di Siena, la creazione di una forte presenza senese fra gente che prima era identificata con Castelfranco di Paganico, aveva inevitabilmente creato un forte grado di tensione. Per il governo senese non c’è alcun dubbio che ci fosse un motivo ulteriore dietro alla concessione demaniale ai cittadini di Castelfranco di Paganico. Non poteva essere  altro che un’opera di buon senso venire incontro agli interessi dei cittadini nel territorio nuovamente acquistato. Indubbiamente, ogni volta che un cittadino senese reclamava un pezzo di terra oppure una casa o un podere alle frontiere, il contado senese cresceva in potenza. Per gli abitanti originari non era così piacevole, perché loro perdevano una parte della loro autonomia locale. Verso la fine del Duecento e durante i primi anni del Trecento, i verbali del Consiglio Generale parlano di diversi acquisti nel contado a sud di Siena. Leggiamo anche dei diversi incentivi che vennero offerti a coloro che erano pronti a investire nei diversi Comuni sudditi. Spesso questi acquisti furono imposti ai proprietari che non erano più considerati alleati o veri amici del governo senese. Queste erano manovre degne del Machiavelli.

Quindi, concludendo, possiamo dire che la documentazione sopravvissuta ci indica come gli affari interni dei Comuni sottoposti al governo senese settecento anni fa fossero tenuti sotto sorveglianza costante da una amministrazione centrale decisa a domare qualsiasi malcontento sociale. È anche chiaro che parte degli abitanti dei diversi Comuni che si erano sottoposti al dominio senese aveva l’impressione di una vessazione ingiusta. È poco probabile, per esempio, che la gente di Castelfranco di Paganico sia rimasta contenta per la concessione, nel tardo Duecento, della loro terra agli stranieri senesi. Ho anche dei forti dubbi che i residenti di Argiano siano stati contenti nel 1310 di trovarsi sotto il Comune centrale del vicino paese di Sant’Angelo in Colle. È anche poco probabile che i diversi Comuni che sono stati sottoposti ai vari ‘Comuni centrali’ sotto il sistema del vicariato si siano sentiti parte integrante con gli altri. Ma non potevano fare  altro che sottomettersi al potere superiore. Plus ça change.