di Alberto Cappelli
(VAL D'ORCIA - terra d'eccellenza, n°5)
Fra le manifestazioni per il 150° anniversario dell’Unità d’Italia che hanno caratterizzato il 2011, è da annoverare anche il ricordo della traslazione della salma del Milite Ignoto a Roma, effettuata nel 1921. Il treno, partì da Aquileia nel Friuli e dopo aver attraversato la parte centro settentrionale della Penisola, arrivò nella Capitale, dove la bara fu deposta all’Altare della Patria.
I mass media hanno riferito che la ripetizione di quel viaggio e, quindi, il ricordo dell’avvenimento, hanno visto una grande partecipazione di cittadini, come del resto è stato per le altre manifestazioni del centocinquantesimo anniversario.
La Prima Guerra Mondiale alla quale l’Italia da poco unificata partecipò, ebbe per la giovane Nazione un notevole costo in vite umane. Furono oltre 600.000 i soldati italiani che vi morirono, numerosi furono i grandi invalidi e gli invalidi, come pure i feriti. Ogni villaggio sperduto dell’Italia pianse i propri morti che furono ricordati anche con monumenti, steli o con semplici lapidi poste in luoghi pubblici a ricordo del sacrificio dei propri conterranei.
Il Comune di Montalcino contò 241 morti fra i militari del suo territorio, 230 feriti e invalidi, 114 orfani; raffrontando questi dati con quelli della seconda Guerra Mondiale, nello stesso Comune furono 125 i soldati deceduti sui vari fronti di battaglia e 53 le vittime civili.
La Frazione di Torrenieri, con una popolazione che non arrivava a 1000 abitanti, nel primo conflitto mondiale contò 27 militari deceduti (due ufficiali – il Capitano Gualtiero Crocchi e il Tenente Ulisse Crocchi – e 25 soldati); nel secondo, i morti fra i militari furono 15 (fra i quali un ufficiale e due sottufficiali), un soldato fu dichiarato disperso e fra i civili vi furono ben 19 vittime (10 solo nel bombardamento del 6 giugno 1944).
Terminato il conflitto 1915/1918, si volle ricordare e onorare i propri caduti con una lapide - posta a lato della Chiesa Parrocchiale e delimitata da quattro proiettili di cannone, uniti fra loro da catene in ferro - sulla quale vennero incisi i loro nomi; ma come in altre località, venne realizzato anche un “Viale delle Rimembranze”, quello che porta alla stazione ferroviaria.
Sul lato della strada che allora costeggiava il piazzale dello scalo merci, furono messi a dimora 27 piccole piante di tiglio, ogni una delimitata da un cordolo circolare di cemento, all’interno del quale fu posta una piccola targa in travertino con inciso il nome del militare al quale la pianta era dedicata.
Fra l’alberatura stradale e la cancellata in cemento armato che divideva il territorio delle ferrovie da quello comunale, fu costruito un marciapiede sul quale vennero poste panchine, sempre in cemento armato, oggi andate perdute nel corso della riconversione dell’area.
La strada – da sempre comunemente nota come “Viale della Stazione” – fu da allora nominata nella toponomastica comunale “Viale delle Rimembranze” e solo alla morte di Bindo Crocchi, titolare della ditta “Ulisse Crocchi & figli”, avvenuta qualche anno dopo, prese il nome di “Viale Bindo Crocchi e delle Rimembranze”, che dovrebbe valere anche per oggi.
Con la retorica che caratterizzava l’epoca, nelle cerimonie del 24 maggio e del 4 novembre – date che segnavano, la prima l’entrata dell’Italia in guerra e la seconda la fine del conflitto per la resa dell’Austria – ai piedi di ogni albero veniva deposto un mazzo di fiori; corone di fiori, invece erano poste sulla lapide presso la Chiesa, ai lati della quale, due reduci in divisa di fante - con le fasce alle gambe, la mantellina grigio-verde, l’elmetto e il fucile italiano ‘91 con la baionetta in canna - montavano la guardia.
Terminata la seconda guerra mondiale, restò solo l’omaggio floreale del 4 novembre al monumento presso la Chiesa, sulla cui lapide vennero aggiunti i nomi dei caduti in quel conflitto, militari e civili.
Del “Viale delle Rimembranze” restò solo la bella alberatura, ma le targhe con i nomi dei caduti andarono distrutte, sicuramente per l’azione delle ruote gommate dei camion tedeschi che per molti mesi durante il giorno sostavano sotto l’alberatura del viale, per mimetizzarsi.
Ora le “vecchie” famiglie originarie del Paese sono preoccupate, perché l’alberatura quasi centenaria non gode più di buona salute ed una pianta è già stata abbattuta lo scorso anno.
La domanda che tutti si pongono è se il Comune avrà cura di loro e se il tiglio abbattuto verrà sostituito, perché non solo dispiace che la memoria di eventi tragici del passato vada perduta, ma anche che non si perda quell’alberatura che da sempre ha rappresentato un bel polmone verde per quel quartiere ottocentesco.
Certamente sulla salute dei tigli, oltre all’età, influisce anche l’inquinamento da traffico, quello da riscaldamento, le piogge acide e quant’altro provoca malattie nelle piante in genere, oltre ai lavori che sono stati fatti per realizzare il “Parco della Stazione”.
Su alcuni tigli è visibile la presenza di funghi parassiti così detti “a mensola” o “a tegola”, semicircolari, che provocano la “carie” dei tronchi, rendendoli più vulnerabili, perciò meno stabili, con conseguenze non prevedibili sulle persone e sulle cose, in caso di improvvise cadute anche per eventi atmosferici (come avvenne nell’improvviso fortunale che si abbattè su Torrenieri nel pomeriggio del luglio 2007).
Fra le piante, poi, le malattie fungine si diffondono anche per non corrette operazioni di potatura, in particolare se non sono sottoposti a disinfezione con adatti prodotti, gli strumenti utilizzati (forbici, seghe e altro ancora).
Oggi, per fortuna, vi sono tecniche diagnostiche e curative - queste ultime dette endoterapiche - che prevedono iniezioni sul tronco con fitofarmaci idonei approvati dal Ministero della salute, che rispettano l’ambiente e non costituiscono un rischio per la popolazione che vive in zona.
Ci si chiede se l’Amministrazione comunale vorrà salvare queste piante.
L’auspicio è che lo voglia e lo possa fare, non solo per venire incontro ai desideri della popolazione, ma anche per rispettare la memoria di quei giovani che quasi cento anni furono mandati a morire lontano dalle loro case, dai familiari e dagli amici.
(VAL D'ORCIA - terra d'eccellenza, n°5)
Fra le manifestazioni per il 150° anniversario dell’Unità d’Italia che hanno caratterizzato il 2011, è da annoverare anche il ricordo della traslazione della salma del Milite Ignoto a Roma, effettuata nel 1921. Il treno, partì da Aquileia nel Friuli e dopo aver attraversato la parte centro settentrionale della Penisola, arrivò nella Capitale, dove la bara fu deposta all’Altare della Patria.
I mass media hanno riferito che la ripetizione di quel viaggio e, quindi, il ricordo dell’avvenimento, hanno visto una grande partecipazione di cittadini, come del resto è stato per le altre manifestazioni del centocinquantesimo anniversario.
La Prima Guerra Mondiale alla quale l’Italia da poco unificata partecipò, ebbe per la giovane Nazione un notevole costo in vite umane. Furono oltre 600.000 i soldati italiani che vi morirono, numerosi furono i grandi invalidi e gli invalidi, come pure i feriti. Ogni villaggio sperduto dell’Italia pianse i propri morti che furono ricordati anche con monumenti, steli o con semplici lapidi poste in luoghi pubblici a ricordo del sacrificio dei propri conterranei.
Il Comune di Montalcino contò 241 morti fra i militari del suo territorio, 230 feriti e invalidi, 114 orfani; raffrontando questi dati con quelli della seconda Guerra Mondiale, nello stesso Comune furono 125 i soldati deceduti sui vari fronti di battaglia e 53 le vittime civili.
La Frazione di Torrenieri, con una popolazione che non arrivava a 1000 abitanti, nel primo conflitto mondiale contò 27 militari deceduti (due ufficiali – il Capitano Gualtiero Crocchi e il Tenente Ulisse Crocchi – e 25 soldati); nel secondo, i morti fra i militari furono 15 (fra i quali un ufficiale e due sottufficiali), un soldato fu dichiarato disperso e fra i civili vi furono ben 19 vittime (10 solo nel bombardamento del 6 giugno 1944).
Terminato il conflitto 1915/1918, si volle ricordare e onorare i propri caduti con una lapide - posta a lato della Chiesa Parrocchiale e delimitata da quattro proiettili di cannone, uniti fra loro da catene in ferro - sulla quale vennero incisi i loro nomi; ma come in altre località, venne realizzato anche un “Viale delle Rimembranze”, quello che porta alla stazione ferroviaria.
Sul lato della strada che allora costeggiava il piazzale dello scalo merci, furono messi a dimora 27 piccole piante di tiglio, ogni una delimitata da un cordolo circolare di cemento, all’interno del quale fu posta una piccola targa in travertino con inciso il nome del militare al quale la pianta era dedicata.
Fra l’alberatura stradale e la cancellata in cemento armato che divideva il territorio delle ferrovie da quello comunale, fu costruito un marciapiede sul quale vennero poste panchine, sempre in cemento armato, oggi andate perdute nel corso della riconversione dell’area.
La strada – da sempre comunemente nota come “Viale della Stazione” – fu da allora nominata nella toponomastica comunale “Viale delle Rimembranze” e solo alla morte di Bindo Crocchi, titolare della ditta “Ulisse Crocchi & figli”, avvenuta qualche anno dopo, prese il nome di “Viale Bindo Crocchi e delle Rimembranze”, che dovrebbe valere anche per oggi.
Con la retorica che caratterizzava l’epoca, nelle cerimonie del 24 maggio e del 4 novembre – date che segnavano, la prima l’entrata dell’Italia in guerra e la seconda la fine del conflitto per la resa dell’Austria – ai piedi di ogni albero veniva deposto un mazzo di fiori; corone di fiori, invece erano poste sulla lapide presso la Chiesa, ai lati della quale, due reduci in divisa di fante - con le fasce alle gambe, la mantellina grigio-verde, l’elmetto e il fucile italiano ‘91 con la baionetta in canna - montavano la guardia.
Terminata la seconda guerra mondiale, restò solo l’omaggio floreale del 4 novembre al monumento presso la Chiesa, sulla cui lapide vennero aggiunti i nomi dei caduti in quel conflitto, militari e civili.
Del “Viale delle Rimembranze” restò solo la bella alberatura, ma le targhe con i nomi dei caduti andarono distrutte, sicuramente per l’azione delle ruote gommate dei camion tedeschi che per molti mesi durante il giorno sostavano sotto l’alberatura del viale, per mimetizzarsi.
Ora le “vecchie” famiglie originarie del Paese sono preoccupate, perché l’alberatura quasi centenaria non gode più di buona salute ed una pianta è già stata abbattuta lo scorso anno.
La domanda che tutti si pongono è se il Comune avrà cura di loro e se il tiglio abbattuto verrà sostituito, perché non solo dispiace che la memoria di eventi tragici del passato vada perduta, ma anche che non si perda quell’alberatura che da sempre ha rappresentato un bel polmone verde per quel quartiere ottocentesco.
Certamente sulla salute dei tigli, oltre all’età, influisce anche l’inquinamento da traffico, quello da riscaldamento, le piogge acide e quant’altro provoca malattie nelle piante in genere, oltre ai lavori che sono stati fatti per realizzare il “Parco della Stazione”.
Su alcuni tigli è visibile la presenza di funghi parassiti così detti “a mensola” o “a tegola”, semicircolari, che provocano la “carie” dei tronchi, rendendoli più vulnerabili, perciò meno stabili, con conseguenze non prevedibili sulle persone e sulle cose, in caso di improvvise cadute anche per eventi atmosferici (come avvenne nell’improvviso fortunale che si abbattè su Torrenieri nel pomeriggio del luglio 2007).
Fra le piante, poi, le malattie fungine si diffondono anche per non corrette operazioni di potatura, in particolare se non sono sottoposti a disinfezione con adatti prodotti, gli strumenti utilizzati (forbici, seghe e altro ancora).
Oggi, per fortuna, vi sono tecniche diagnostiche e curative - queste ultime dette endoterapiche - che prevedono iniezioni sul tronco con fitofarmaci idonei approvati dal Ministero della salute, che rispettano l’ambiente e non costituiscono un rischio per la popolazione che vive in zona.
Ci si chiede se l’Amministrazione comunale vorrà salvare queste piante.
L’auspicio è che lo voglia e lo possa fare, non solo per venire incontro ai desideri della popolazione, ma anche per rispettare la memoria di quei giovani che quasi cento anni furono mandati a morire lontano dalle loro case, dai familiari e dagli amici.