di Mirco Sanchini
(VAL D'ORCIA - terra d'eccellenza, n°5)
Sabato 4 febbraio a Palazzo Chigi è stata presentata la centrale a biomasse di prossima realizzazione nel comune di San Quirico d’Orcia, all’interno dell’area RP2 di completamento dell’area industriale dell’Ombicciolo. Il biogas necessario a produrre energia elettrica e termica avverrà per digestione anaerobica di sostanze organiche di origine naturale.
"Una processo virtuoso, se paragonato alle altre tecnologie finalizzate a produrre energia da biomasse", già illustrato in questi termini nel 2009 a Castiglione d’Orcia dal prof. Federico Valerio, responsabile del Servizio di Chimica Ambientale all’Istituto Tumori di Genova (recentemente ospite di Milena Gabanelli a Report), che per certi versi fa piacere credere essere stata scelto anche per quanto detto durante quell’acceso convegno di tre anni fa.
Nello specifico la centrale di San Quirico d’Orcia – si legge nel progetto – produrrà 259 KW termici e 499 KW elettrici, quest’ultimi sufficienti per il fabbisogno annuo di ca. 3300 persone, impiegherà oltre 11.700 t/a (tonnellate annue) di biomasse coltivate in 135 ha nel raggio di 35 Km. Le biomasse saranno in prevalenza sorgo, quindi insilato di mais, triticale e sansa. Creerà tre posti di lavoro, due part time e uno di supervisione e telecontrollo. Da un punto di vista economico emergono due protagonisti; al termine dei quindici anni di contributi pubblici previsti per la produzione di energia elettrica l’impianto renderà un utile di quasi tre milioni di euro al soggetto proponente l’impianto e un ricavo di circa quattro milioni di euro al fornitore della biomassa.
Se non fosse per la biomassa impiegata, che sarebbe auspicabile provenire dagli scarti delle lavorazioni anziché essere coltivata appositamente per produrre energia, e per quell’eventuale rete di teleriscaldamento, descritta ahimè con poca convinzione persino nel progetto, che permetterebbe lo spegnimento di alcune caldaie favorendo il bilancio delle emissioni, oltre che l’interesse pubblico e più in generale la parsimonia, necessità e virtù della cultura ‘valdorciana’, la centrale a biomasse di San Quirico d’Orcia, considerata l’urgenza economica dell’agricoltura, sembra essere un valido progetto. Per chi ci sta investendo.
Sarà quindi perché è un così valido progetto che a riguardo si sono mobilitati gruppi di cittadini, un convegno e i media locali? Sarà questo il motivo di tanta attenzione pubblica per un’impresa privata?
Forse, o probabilmente perché è finanziata anche con soldi pubblici e più sicuramente perché l’economia prevalente della Val d’Orcia è agricola. Per 760 aziende agricole costrette a scongiurare il minimo imprevisto per spuntarla su un mercato cerealicolo sempre meno generoso, la centrale a biomasse di San Quirico d’Orica è sicuramente motivo di grande interesse. Per tutti gli altri, un potenziale di ca. 21.000 ha di Val d’Orcia convertita a sorgo, mais e triticale destinati alla produzione di energia e di compost, sono ugualmente motivo di grande interesse.
Personalmente non credo a una prossima espansione a macchia d’olio di centrali a biomassa per più motivi, di competenze tecniche, abitudini, diffidenza, disponibilità finanziaria, capacità di lanciarsi nella speculazione, quantità di terreno delle singole aziende. In ogni caso, anche alla luce di un periodo difficile come questo, dove è storicamente più facile incappare in scelte sbagliate, è giusto valutare con molta attenzione cosa significherebbe concentrare per un ventennio la produzione di energia elettrica sufficiente al fabbisogno annuo di 90.000 persone in aree artigianali (a questo punto non così ‘pulite’) spesso adiacenti ai centri abitati, stravolgere l’attuale paesaggio agricolo, convertire selvaggiamente la produzione di cibo in energia, sia per gli abitanti del parco, che per un turismo sempre più colto e mai così attento alle tematiche ambientali.
È vero che il 76% degli italiani è disposto a pagare bollette più care pur di incentivare le fonti rinnovabili, ma di queste vengono preferite su tutte solare (58%) ed eolico (16%).
In Lombardia, dopo anni di unanimismo pro biogas, la sottrazione delle coltivazioni destinate alla produzione alimentare è arrivata a livelli patologici a tal punto da schierare i sindacati agricoli di Cremona e di Brescia in modo semi-unitario per 'l'avanti adagio' se non per 'l'indietro tutta' alla politica fin qui perseguita con zelo del 'a tutto biogas'.
Sempre per gli stessi motivi le commissioni ambiente e attività produttive della Camera hanno proposto di inserire nel decreto legislativo sull'uso delle rinnovabili un’indicazione circa le percentuali massime (15%) di superfici aziendali dedicate ad alimentare impianti a biogas.
In Val d’Orcia, dove la media di terreno coltivato per azienda non supera i 30 ha, Montalcino esclusa, dove immagino nessuno intenda sostituire il sangiovese con il sorgo, il sogno un po’ esotico di rilanciarsi sul mercato come un insieme di tanti piccoli produttori di energia, volenti o nolenti, rischia di finire comunque in un brutto risveglio senza un piano ‘B’.
Realtà come il Consorzio Agrario di Siena con la ‘Pasta dei coltivatori senesi’ e di ‘Spiga e Madia’ in Brianza, dove 600 famiglie riunite in gruppi d’acquisto hanno deciso che il pane dovevano produrselo, stringendo un patto tra consumatori, mugnai, fornai e agricoltori, il loro piano ‘B’ lo hanno pensato e realizzato.
Ridistribuendo in maniera più equa il prezzo del prodotto finale all’interno della filiera è stato possibile ridare al grano il giusto valore indipendentemente dall’andamento del mercato, ottenendo prodotti di qualità ad un prezzo concorrenziale.
Da anni c’è chi specula in borsa sul prezzo del cibo come se fosse il petrolio o la sterlina, ma nessuno pone rimedio. Come non c’è nessun controllo su una equa distribuzione dei ricavi su tutta la filiera della pasta e del pane. Ed è importante perché questo ci garantirebbe la qualità di quello che mangiamo, ma soprattutto una migliore qualità della vita. Le alternative ci sono, ma non è che ci devono pensare soltanto qualche centinaio di volenterosi.
(VAL D'ORCIA - terra d'eccellenza, n°5)
Sabato 4 febbraio a Palazzo Chigi è stata presentata la centrale a biomasse di prossima realizzazione nel comune di San Quirico d’Orcia, all’interno dell’area RP2 di completamento dell’area industriale dell’Ombicciolo. Il biogas necessario a produrre energia elettrica e termica avverrà per digestione anaerobica di sostanze organiche di origine naturale.
"Una processo virtuoso, se paragonato alle altre tecnologie finalizzate a produrre energia da biomasse", già illustrato in questi termini nel 2009 a Castiglione d’Orcia dal prof. Federico Valerio, responsabile del Servizio di Chimica Ambientale all’Istituto Tumori di Genova (recentemente ospite di Milena Gabanelli a Report), che per certi versi fa piacere credere essere stata scelto anche per quanto detto durante quell’acceso convegno di tre anni fa.
Nello specifico la centrale di San Quirico d’Orcia – si legge nel progetto – produrrà 259 KW termici e 499 KW elettrici, quest’ultimi sufficienti per il fabbisogno annuo di ca. 3300 persone, impiegherà oltre 11.700 t/a (tonnellate annue) di biomasse coltivate in 135 ha nel raggio di 35 Km. Le biomasse saranno in prevalenza sorgo, quindi insilato di mais, triticale e sansa. Creerà tre posti di lavoro, due part time e uno di supervisione e telecontrollo. Da un punto di vista economico emergono due protagonisti; al termine dei quindici anni di contributi pubblici previsti per la produzione di energia elettrica l’impianto renderà un utile di quasi tre milioni di euro al soggetto proponente l’impianto e un ricavo di circa quattro milioni di euro al fornitore della biomassa.
Se non fosse per la biomassa impiegata, che sarebbe auspicabile provenire dagli scarti delle lavorazioni anziché essere coltivata appositamente per produrre energia, e per quell’eventuale rete di teleriscaldamento, descritta ahimè con poca convinzione persino nel progetto, che permetterebbe lo spegnimento di alcune caldaie favorendo il bilancio delle emissioni, oltre che l’interesse pubblico e più in generale la parsimonia, necessità e virtù della cultura ‘valdorciana’, la centrale a biomasse di San Quirico d’Orcia, considerata l’urgenza economica dell’agricoltura, sembra essere un valido progetto. Per chi ci sta investendo.
Sarà quindi perché è un così valido progetto che a riguardo si sono mobilitati gruppi di cittadini, un convegno e i media locali? Sarà questo il motivo di tanta attenzione pubblica per un’impresa privata?
Forse, o probabilmente perché è finanziata anche con soldi pubblici e più sicuramente perché l’economia prevalente della Val d’Orcia è agricola. Per 760 aziende agricole costrette a scongiurare il minimo imprevisto per spuntarla su un mercato cerealicolo sempre meno generoso, la centrale a biomasse di San Quirico d’Orica è sicuramente motivo di grande interesse. Per tutti gli altri, un potenziale di ca. 21.000 ha di Val d’Orcia convertita a sorgo, mais e triticale destinati alla produzione di energia e di compost, sono ugualmente motivo di grande interesse.
Personalmente non credo a una prossima espansione a macchia d’olio di centrali a biomassa per più motivi, di competenze tecniche, abitudini, diffidenza, disponibilità finanziaria, capacità di lanciarsi nella speculazione, quantità di terreno delle singole aziende. In ogni caso, anche alla luce di un periodo difficile come questo, dove è storicamente più facile incappare in scelte sbagliate, è giusto valutare con molta attenzione cosa significherebbe concentrare per un ventennio la produzione di energia elettrica sufficiente al fabbisogno annuo di 90.000 persone in aree artigianali (a questo punto non così ‘pulite’) spesso adiacenti ai centri abitati, stravolgere l’attuale paesaggio agricolo, convertire selvaggiamente la produzione di cibo in energia, sia per gli abitanti del parco, che per un turismo sempre più colto e mai così attento alle tematiche ambientali.
È vero che il 76% degli italiani è disposto a pagare bollette più care pur di incentivare le fonti rinnovabili, ma di queste vengono preferite su tutte solare (58%) ed eolico (16%).
In Lombardia, dopo anni di unanimismo pro biogas, la sottrazione delle coltivazioni destinate alla produzione alimentare è arrivata a livelli patologici a tal punto da schierare i sindacati agricoli di Cremona e di Brescia in modo semi-unitario per 'l'avanti adagio' se non per 'l'indietro tutta' alla politica fin qui perseguita con zelo del 'a tutto biogas'.
Sempre per gli stessi motivi le commissioni ambiente e attività produttive della Camera hanno proposto di inserire nel decreto legislativo sull'uso delle rinnovabili un’indicazione circa le percentuali massime (15%) di superfici aziendali dedicate ad alimentare impianti a biogas.
In Val d’Orcia, dove la media di terreno coltivato per azienda non supera i 30 ha, Montalcino esclusa, dove immagino nessuno intenda sostituire il sangiovese con il sorgo, il sogno un po’ esotico di rilanciarsi sul mercato come un insieme di tanti piccoli produttori di energia, volenti o nolenti, rischia di finire comunque in un brutto risveglio senza un piano ‘B’.
Realtà come il Consorzio Agrario di Siena con la ‘Pasta dei coltivatori senesi’ e di ‘Spiga e Madia’ in Brianza, dove 600 famiglie riunite in gruppi d’acquisto hanno deciso che il pane dovevano produrselo, stringendo un patto tra consumatori, mugnai, fornai e agricoltori, il loro piano ‘B’ lo hanno pensato e realizzato.
Ridistribuendo in maniera più equa il prezzo del prodotto finale all’interno della filiera è stato possibile ridare al grano il giusto valore indipendentemente dall’andamento del mercato, ottenendo prodotti di qualità ad un prezzo concorrenziale.
Da anni c’è chi specula in borsa sul prezzo del cibo come se fosse il petrolio o la sterlina, ma nessuno pone rimedio. Come non c’è nessun controllo su una equa distribuzione dei ricavi su tutta la filiera della pasta e del pane. Ed è importante perché questo ci garantirebbe la qualità di quello che mangiamo, ma soprattutto una migliore qualità della vita. Le alternative ci sono, ma non è che ci devono pensare soltanto qualche centinaio di volenterosi.