Val d'Orcia Holiday
Agriturismi, case vacanza, B&B, SPA, hotel, castelli e ville
X

Un pianeta senz'acqua

di Giorgio Scheggi          
(VAL D'ORCIA - terra d'eccellenza, n°5)
Fred Pearce è un giornalista inglese molto letto in giro per il mondo. Il suo stile accattivante è una giusta miscela di rigore e racconto, dati e osservazioni. Quel genere di giornalista che riesce a farsi leggere anche da chi, come me, abitualmente consuma poesia e narrativa.
Quando ci si imbatte in un saggio o in un’inchiesta giornalistica, di solito, è per andare alla ricerca di conferme. Certe opinioni, pensieri, punti di vista, vengono, per così
dire, esaltati da qualche tizio che sul tema mostra di saperla lunga e di saperla raccontare.
Il saggio in questione, il cui titolo originale, molto musicale suona così: “When the rivers run dry…” è molto più esplicito nella sua versione italiana “Un pianeta senz’acqua”  (Ed. Il Saggiatore).
Se sono così attratto dall’elemento acqua ci saranno sicuramente robuste motivazioni psicologiche, ma a me piace pensare che sia stata piuttosto la fonte suprema della mia meraviglia, della curiosità, del divertimento.
Credo di non aver mai opposto resistenza alla voglia di guardare in qualsiasi anfratto ove scorresse o stagnasse dell’acqua. Questo tanto osservare ha scritto, ai miei occhi, il diario di un’agonia: la scomparsa o, se volete, l’impoverirsi, di torrenti, fonti, ruscelli, laghetti quando non lo spegnersi di una sorgente. In piccolo, quello che sta avvenendo in giro per il mondo, è qui, a casa nostra, già dura realtà, pur se all’ombra generosa del Mons ad Meata, il monte delle sorgenti, il Monte Amiata, appunto.
Pearce  ha scritto il suo saggio-denuncia nel 2006: il suo grido d’allarme, i suoi suggerimenti, cinque anni dopo, sono lettera morta.
La sorgente dell’Ermicciolo, a Vivo d’Orcia, la più nota e la seconda per importanza nel bacino amiatino, è un luogo di straordinario fascino, che vale sempre la visita. Entrandovi, si rimane sospesi nella dimensione fantastica che dà il rumore dell’acqua e la penetrazione nelle viscere della terra. Il punto da cui sgorga l’acqua, la grande ferita che si apre nella roccia, mostra chiaramente i segni della spettacolare portata che nella seconda metà dell’ottocento era di 274 litri al secondo e che via via è andata ritirandosi fino ai  90 litri al secondo di qualche tempo fa.
La guerra delle relazioni che si fronteggiano nello scontro tra – ah! è colpa della geotermia  e – ah! è colpa della scarsità di precipitazioni, è un conflitto che ha la caratteristica di lasciare tutto così com’è. Intanto che ci si scanna su questo fronte, continuiamo a lavare le macchine e a riempire i nostri sciacquoni con acqua potabile di altissima qualità, continuiamo ad annaffiare gli orti, lavare i panni, rinfrescare il vialetto di casa con questo dono di cui disponiamo sempre in minor quantità.
Tutti sappiamo che molte cose si potrebbero fare da subito, in primis quella di riparare e sostituire larghi tratti di acquedotto, ma poi  differenziare tra condutture per uso potabile e tutto il resto o quella di rendere obbligatoria la raccolta delle acque piovane, quella di agevolare la penetrazione delle acque nella falda con apposite piantumazioni, ecc. ecc. Occorrerebbe organizzarci come se già ora non disponessimo più di questa risorsa. Se ci abituassimo all’idea, faremmo non soltanto ciò che è giusto fare, ma contribuiremmo a modificare il pernicioso metodo di investire risorse pubbliche per esigenze di breve termine, o di visibilità, insomma,  elettorali.
In questo senso l’acqua può essere il paradigma della nostra società e, segnatamente, della crisi della democrazia.
Ogni qualvolta, soffermandoci sopra il ponte dell’Orcia, vedremo la potenza del nostro fiume in piena, domandiamoci per quanto ancora ci potremo permettere il lusso di spedire tutta quell’acqua verso il mare.
Noi, i colpevoli del debito pubblico, del lavoro precario e malpagato, dello smarrimento, potremmo, per una volta, agire in favore dei nostri figli e di quelli che verranno dopo, potremmo smettere di rubargli il futuro.