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Vigneti e diritti d’impianto,
la liberalizzazione preoccupa

Nella Commissione presieduta da Loris Rossetti (Pd), le organizzazioni professionali agricole e Federdoc hanno manifestato tutti i loro timori sugli effetti della decisione comunitaria.
La Toscana del vino non nasconde le preoccupazioni per la liberalizzazione dei diritti di impianto dei vigneti, prevista dalla normativa comunitaria, l’Ocm Vino, a partire dal 2016.
Le organizzazioni professionali agricole e la Confederazione nazionale dei Consorzi volontari per la tutela delle denominazioni di origine (Federdoc) sono stati ascoltati il giorno mercoledì 13 luglio in audizione dalla commissione Agricoltura del Consiglio regionale, presieduta da Loris Rossetti (Pd), ed hanno manifestato tutte le loro perplessità.
Il sistema attuale, introdotto nel 1987, prevede la possibilità di impiantare nuovi vigneti sulla base di diritti acquisiti per estirpazione diretta, oppure acquistati da privati o dalle riserve regionali.
“Il regime dei diritti - ha osservato Riccardo Ricci Curbastro, presidente nazionale di Federdoc - ha consentito di stabilizzare i mercati, controllare la produzione, garantire reddito ai viticoltori ed ha sempre permesso la crescita delle denominazioni d’origine”. Il Brunello di Montalcino ha registrato 58.000 ettolitri nel 1996 e 72.000 nel 2008. Nello stesso periodo il Chianti Classico è passato da 230.000 a 272.000, mentre il Nobile di Montepulciano da 36.500 a 56.000.
“Si afferma il modello australiano, con grandi industrie e grandi impianti – ha osservato Curbastro – Ma in quel modello i terreni hanno possibilità agricole alternative al vigneto. A Montalcino o nel Chianti classico non ci sono alternative produttive”.
A livello europeo non sono mancate le reazioni, a partire dai grandi governi, con Angela Merkel e Nicolas Sarkozy, seguite da una lettera firmata da 21 paesi che chiede al Parlamento di rivedere la norma. “Ora la partita si gioca sul tavolo del Consiglio dei ministri dell’Ue – ha concluso Curbastro – A settembre la Conferenza Stato Regioni dovrebbe intervenire sul nostro governo nazionale”.
“Non è una liberalizzazione, è un esproprio, che rischia di mettere in ginocchio la nostra viticoltura” ha affermato Francesco Colpizzi di Confcooperative toscana, preoccupato per i rischi di un aumento incontrollato delle produzione, della perdita di qualità del prodotto, della scomparsa delle aziende piccole e medie. Stesse perplessità da parte di Luigi Pratesi di Confagricoltura, che ha sottolineato la possibile caduta dei prezzi, la delocalizzazione dei vigneti da aree più vocate a zone pianeggianti, la perdita del valore patrimoniale delle aziende.
“Queste preoccupazioni sono anche le nostre” ha aggiunto Fabrizio Del Carlo della Confederazione italiana agricoltori, secondo il quale occorre utilizzare la possibilità della proroga al 2018 per creare le necessarie alleanze ed “andare in Europa con lo stile e l’atteggiamento che l’Europa richiede”, forti del lavoro che è stato fatto in questi anni in Toscana, a partire dal catasto vitivinicolo. Sulla stessa lunghezza d’onda Giuliano Giuliani di Legacoop. Perplessità anche da parte di Aldo Galeotti di Coldiretti, secondo il quale la liberalizzazione rischia di generare distorsioni di mercato. “Il consumatore cerca la qualità – ha dichiarato – la standardizzazione del prodotto non va nel senso giusto”.
“La commissione si riunirà e metterà a punto una serie di iniziative” ha assicurato il presidente Loris Rossetti – Il problema non è solo economico, legato ad un prodotto di eccellenza della nostra regione. Gli effetti possono mettere a rischio il nostro stesso paesaggio”. (di Daniele Pecchioli)