(di Giorgio Scheggi)
Dai maestri del cuoio a Montalcino, ai grandi capomastri di San Quirico, gli scalpellini ed i falegnami a Castiglione d’Orcia, ai ceramisti e vetrai di Monticchiello ecc, ecc.
Un reticolo di conoscenze, competenze, abilità che rendeva possibile progettare e costruire bellissimi palazzi e giardini, vestiti e calzature, decori di ispirazione religiosa o laica. I migliori artigiani, esattamente come i migliori pittori e scultori, si circondavano di allievi e aiutanti che garantivano così continuità all’arte loro.
Su tutto, poi, una formidabile esperienza contadina che comprendeva conoscenze vastissime su piante e animali che si compendiavano in un sistema agricolo dove nulla era lasciato al caso.
Questo tipo di società era la Valdorcia. Un mondo tutt’altro che perfetto, beninteso, ma che aveva forte in sé un patrimonio di abilità e, come dire, una propensione al futuro, che ha portato fin quasi ai giorni nostri fior di artigiani e agricoltori.
Perché in un mondo molto più confortevole, infinitamente più prodigo di possibilità di accrescimento personale, abbiamo deciso di sotterrare questo patrimonio? Era così ingombrante, puzzava così tanto di miseria? Pare di capire che il progresso non è tale se non ci rende tutti uguali, ma non, doverosamente, nei diritti, nei doveri e nelle opportunità, ma piuttosto nell’esser automi da consumo compulsivo, teledipendenti e perennemente collegati a qualche aggeggio elettronico del quale conosciamo un paio di funzioni e che nessuno sa riparare, programmare, comprenderne il funzionamento.
Possibile che il privilegio di vedere così tanto cielo e terra e di essere ospiti di questo stupefacente angolo di mondo, non ci induca a recuperare alcune di quelle abilità? Possibile che non si intuisca che nel mondo senza petrolio, le merci a chilometri zero, saranno quelle più ragionevoli?
I nostri centri storici sono il libro illustrato ove è rappresentata la sapienza artigiana della quale disponevamo, ce lo dicono certe gronde e porte, archi, ce lo dice la tessitura delle murature in pietra. Chi si occuperà di restaurare, conservare, recuperare questo patrimonio?
Sentiamo che le aziende che non “dislocano”, che non se ne vanno in qualche paese fiscalmente più ospitale e con bassi salari, è perché producono “eccellenze” che solo in Italia, solo con artigiani italiani, riescono a confezionare. Ci suggerisce qualcosa?
E’ vero, non possiamo, saltata che abbiamo una generazione, trasformarci, d’emblée, in artigiani sopraffini, ma abbiamo ancora qualche maestro in vita, abbiamo ancora alcuni veri agricoltori, abbiamo, forse, la predisposizione, l’occhio. Se nessuno ha il coraggio di proporlo, di cominciare, potremmo farlo noi: diamo ai nostri figli tutta l’istruzione possibile ma prepariamoli ad un futuro diverso da quello che hanno già scritto per loro. Saper recuperare un arco “a tutto sesto”, con la propria abilità artigiana o far germogliare un ciliegio da un pero selvatico, non sono soltanto mestieri utilissimi e, forse, neanche tanto mal pagati, ma sono ciò che, pare, tutti noi andiamo cercando: appagamento, soddisfazione e, dai, diciamolo, felicità.
P.S. : In un rubrica che porta l’impegnativo titolo : “L’essenziale”, mi pare d’obbligo segnalare l’evoluzione del dibattito circa i destini della Valdorcia. La nostra proposta di dividere le sorti delle due istituzioni: Unione dei Comuni – Parco della Valdorcia, ha trovato un’eco nei Consigli Comunali dove l’adesione al nuovo organismo che nascerà sulle ceneri della Comunità Montana, è stata approvata. Disperdere o, peggio, ignorare, la potenzialità consegnataci dall’Unesco è qualcosa che non merita neppure di essere presa in considerazione. Resta intatta la seconda parte delle nostra proposta: attiviamo competenze scientifiche che ci aiutino a mettere in campo una serie di proposte progettuali che rilancino il progetto e ci obblighino ad uscire dalle pastoie istituzionali o burocratiche e ci precipitino nel territorio, nei suoi bisogni e nel suo sviluppo. C’è chi invoca la diga di San Piero in Campo, nuove proposte si affacciano per la produzione di energia elettrica da biomasse: sono argomenti troppo seri per liquidarli nelle righe finali ma sono, lasciatemelo dire, il più bel regalo che si possa fare a quanti come noi, vanno invocando un governo associato e condiviso del territorio, così piccolo, così bello, così fragile.