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lunedì 18 aprile 2011

Il Parco da una parte, i candidati all’Unione dei Comuni dall’altra

(di Giorgio Scheggi)
Se anche disperdessimo altre parole, altre immagini, altri frammenti del nostro vivere ora e qui, arriva un tempo nel quale il bisogno di agire, di poter essere vivi nel proprio tempo, si fa insopportabile. Tra i tanti modi che l’uomo ha inventato per soddisfare quel bisogno, noi abbiamo scelto quello della parola scritta, dell’immagine stampata. Si dirà: “ci sono troppi giornali”, e poi ancora “nessuno più legge”. Se sulla prima affermazione si potrebbe lapidariamente replicare che quasi ogni giornale quotidiano o periodico presente oggi
in edicola è nato in un periodo nel quale “c’erano troppi giornali”, sull’abbandono della parola su carta si potrebbe discutere; a me piace pensare che tutte le altre forme di comunicazione, per quanto luccicanti, abbiano radici più fragili per resistere allo scorrer del tempo.
Pubblicheremo finché ce ne sarà data la possibilità e lo faremo ognuno con il suo e dal suo punto di vista, precisazione non del tutto superflua, per i tempi che viviamo.
A questo giornale, tuttavia, propongo un tema e una soluzione che valgano da sfondo al nostro lavoro: il tema è la Val d’Orcia, la soluzione è l’unione dei Comuni che la compongono.
Le modalità, i ruoli, i luoghi e gli uomini con i quali arrivare a quell’esito, saranno l’oggetto della discussione, il terreno sul quale le diverse opinioni abbiano tutto lo spazio necessario per essere ascoltate. Un piccolo giornale locale o una grande testata nazionale hanno la stessa responsabilità: essere onesti con chi legge. Dichiararsi prima di dichiarare: a questo serve uno sfondo comune. Questo sfondo parte da una constatazione: se dovessimo fare il punto, oggi, gennaio 2011, sullo stato dell’arte di quello che fu chiamato “Parco Artistico Naturale e Culturale della Val d’Orcia”, ci sarebbe di che disperarsi. Un ventennio dopo quell’intuizione, cui è seguita una vera e propria rinascita culminata con il riconoscimento di Patrimonio dell’Umanità da parte dell’Unesco, tra tecnicismi, manovrette di basso cabotaggio, pigrizia e patetici campanilismi si potrebbe dire: l’esperimento è finito, andate in pace.
Non è così, naturalmente. Non avremmo neppure questo strumento editoriale, se così fosse. Non è così a partire dai quei provvedimenti legislativi (Carta delle Autonomie) che irrompono nel dibattito e ci costringono, per non averlo colpevolmente fatto prima, a parlare di forme associative tra le Amministrazione locali. Nell’immediato orizzonte c’è la soppressione della Comunità Montana Amiata-Valdorcia e la costituzione di un Unione dei Comuni che risponda ai criteri stabiliti dalla legge. Se il processo di gestione associata dei servizi comunali, facilita la ripresa del dialogo sul Parco, la ricomposizione della Comunità Montana in un unione che, di fatto, la ricostituisce, ha acceso le polemiche e rischia di compromettere ogni ipotesi di rilancio del progetto. Se un tempo gli attriti tra le amministrazioni locali potevano essere compensati e composti nelle sedi della politica, oggi ciò non è più possibile: al Comune di Pienza, la maggioranza è rappresentata da una Lista Civica che sui servizi sanitari, in difformità con gli altri comuni dell’area, ha optato per la Valdichiana. Se questa rottura costituisce, di per sé, un ostacolo grande per il rilancio del Progetto Valdorcia, nessuno può pensare di farne una bandiera per rompere le file o ricostituire la Valdorcia senza Pienza, né Pienza può pensare di continuare a decidere su questioni fondamentali senza confrontarsi con gli altri Comuni del Parco. Forse occorrerebbe riprendere il dialogo su due piani e due tavoli diversi: il Parco da una parte, i candidati all’Unione dei Comuni, dall’altra. I sette comuni (Valdorcia più Abbadia S.S. e Piancastagnaio) concordino le modalità con le quali arrivare ad una gestione di servizi compatibili con le esigenze di tutti senza prevaricazioni o imposizioni e ciò avvenga con l’apporto dei cittadini. Sull’altro tavolo ci si impegni per il rilancio del Progetto del Parco della Valdorcia, con la sottoscrizione di un documento che indichi cinque o sei investimenti di area capaci di rimettere in moto l’economia locale che creino opportunità di lavoro e costringano tutti noi ad immaginare un futuro da costruire insieme.
Le risorse, le troveremo, se saremo uniti, le troveremo. Siamo patrimonio dell’umanità, questa carta la dovremo spendere non soltanto sui tavoli nazionali, regionali, provinciali ma anche in quelli dell’ Unione Europea e delle Fondazioni nazionali ed internazionali.
L’immobilismo, la difesa di ridicoli confini comunali, la speranza di cavarsela indipendentemente da ciò che accade due metri più in là, sono ostacoli di imperdonabile stupidità.

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