(di Francesco Matteucci)
E’ estremamente interessante seguire passo passo le vicende delle piante considerate curative dalla tradizione popolare, alcune a ragion d’essere molto utili ieri come oggi, altre pericolose se non addirittura mortali per l’uomo. Anche in natura gli stessi animali, per nutrirsi e per curarsi, ingeriscono spesso radici, arbusti, frutti od erbe, ma alcune di queste sistematicamente sono da loro scartate. Il loro istinto, il loro imprinting genetico, derivato da secoli di
contatto con l’ambiente che li nutre e li circonda, ha codificato in loro quali siano le piante benefiche e quelle tossiche o addirittura mortali. L’uomo, che dovrebbe essere l’animale superiore più intelligente, conosce le proprietà venefiche di cicuta, oleandro, stramonio, ma a tutt’oggi continua a credere, tra il fantastico ed il faceto, che tutto ciò che ruota nel naturale faccia bene.
Io stesso abboccai tanti anni fa ad un curatore casalingo che abitava in un paesino alle pendici dell’Amiata e mi garantì, avendo curato così anche emeriti studiosi venuti da lontano, di potermi guarire un ginocchio dolorante con impacchi d’erbe che trovava sui prati del Monte. Nonostante il mio scetticismo, che già mi portava a conoscer l’ambiente biologico e vegetale, mi recai torto collo a fare questo “benefico impacco che tirava fuori gli umori malefici”. Mi fu applicato da vetusta mano e con saggezza un miscuglio appiccicoso che puzzava tremendamente d’aglio, fasciato poi con cura sul ginocchio dolorante. L’aglio si sa è l’anticamera della stregoneria, pensai, infatti di agli, rospi, pipistrelli ed erbe varie sono piene le favole. Tornato a casa con l’arto ben impacchettato, cominciai subito a percepire sulla parte “medicata” un forte bruciore che pian piano si trasformò in dolore insopportabile, come se qualcuno stesse bruciandomi la parte trattata. Dopo poche ore di tortura decisi di togliere l’impacco e di lavarmi a più riprese, mentre intanto i famosi umori altro non erano che il liquido contenuto nelle piccole vescicole da ustione. Non era quello il male tolto, ma fattami un po’ di letteratura in merito saltò fuori che l’aglio schiacciato, che era la base principale del doloroso pastone, messo sulla pelle nuda, crea ustioni e vescicole come se tanti fiammiferi accesi fossero andati a bruciare la mia carne.
La scemenza di allora tuttora la porto come piccoli marchi a fuoco sul mio ginocchio.
Attenzione allora a non credere che di tutta l’erba si possa fare un fascio benefico per la salute.
Per fare un altro esempio calzante parlerò di una pianta conosciutissima in Val d’Orcia: l’erba querciola (Teucrium chamaedrys) nome comune camedrio, che in latino si riferisce ad una specie di querce le cui foglie hanno una forma simile a quella della nostra pianta. Anzichè aiutare a digerire, a dimagrire, ad aumentare l’appetito, a curare le gengiviti, è tossica per il fegato e pertanto la sua somministrazione è stata proibita anche in Italia dalle competenti autorità (Ministero della Salute) da circa dieci anni e sono riportati numerosi casi di avvelenamento anche mortali. Nonostante ciò, sono molti i siti internet e le credenze popolari che ne reclamizzano le presunte proprietà benefiche. Gli esperti tossicologi denunciano che sono le epatiti i danni più comuni derivati dall’assunzione sotto ogni forma della stessa. L’età in cui si sono verificati decine e decine casi vanno da 11 a 72 anni ed in alcuni di questi si trattava di epatite fulminante.
Le sostanze presenti sono dotate di un potente effetto farmacologico e tossico: teucrioresina, scutellarina, colina, tannino, ed un’essenza di colore giallo che contiene pinene, canfene, borneolo, cariofillene.
Per il suo fondo amaro veniva usata per la preparazione di liquori stomachici, nell’industria del vermouth o amari in genere. Fra le varie sostanze colpevoli dell’epatotossicità sono i “diterpeni neoclerodonici”. Questa composizione così pericolosa ha causato così il drastico abbandono di questa pianta per uso medicamentoso, e sarà solo il ricordo o la bella visione in fioritura di questa che dovrà colpire per il futuro l’occhio attento del curatore fai da te.
contatto con l’ambiente che li nutre e li circonda, ha codificato in loro quali siano le piante benefiche e quelle tossiche o addirittura mortali. L’uomo, che dovrebbe essere l’animale superiore più intelligente, conosce le proprietà venefiche di cicuta, oleandro, stramonio, ma a tutt’oggi continua a credere, tra il fantastico ed il faceto, che tutto ciò che ruota nel naturale faccia bene.
Io stesso abboccai tanti anni fa ad un curatore casalingo che abitava in un paesino alle pendici dell’Amiata e mi garantì, avendo curato così anche emeriti studiosi venuti da lontano, di potermi guarire un ginocchio dolorante con impacchi d’erbe che trovava sui prati del Monte. Nonostante il mio scetticismo, che già mi portava a conoscer l’ambiente biologico e vegetale, mi recai torto collo a fare questo “benefico impacco che tirava fuori gli umori malefici”. Mi fu applicato da vetusta mano e con saggezza un miscuglio appiccicoso che puzzava tremendamente d’aglio, fasciato poi con cura sul ginocchio dolorante. L’aglio si sa è l’anticamera della stregoneria, pensai, infatti di agli, rospi, pipistrelli ed erbe varie sono piene le favole. Tornato a casa con l’arto ben impacchettato, cominciai subito a percepire sulla parte “medicata” un forte bruciore che pian piano si trasformò in dolore insopportabile, come se qualcuno stesse bruciandomi la parte trattata. Dopo poche ore di tortura decisi di togliere l’impacco e di lavarmi a più riprese, mentre intanto i famosi umori altro non erano che il liquido contenuto nelle piccole vescicole da ustione. Non era quello il male tolto, ma fattami un po’ di letteratura in merito saltò fuori che l’aglio schiacciato, che era la base principale del doloroso pastone, messo sulla pelle nuda, crea ustioni e vescicole come se tanti fiammiferi accesi fossero andati a bruciare la mia carne.
La scemenza di allora tuttora la porto come piccoli marchi a fuoco sul mio ginocchio.
Attenzione allora a non credere che di tutta l’erba si possa fare un fascio benefico per la salute.
Per fare un altro esempio calzante parlerò di una pianta conosciutissima in Val d’Orcia: l’erba querciola (Teucrium chamaedrys) nome comune camedrio, che in latino si riferisce ad una specie di querce le cui foglie hanno una forma simile a quella della nostra pianta. Anzichè aiutare a digerire, a dimagrire, ad aumentare l’appetito, a curare le gengiviti, è tossica per il fegato e pertanto la sua somministrazione è stata proibita anche in Italia dalle competenti autorità (Ministero della Salute) da circa dieci anni e sono riportati numerosi casi di avvelenamento anche mortali. Nonostante ciò, sono molti i siti internet e le credenze popolari che ne reclamizzano le presunte proprietà benefiche. Gli esperti tossicologi denunciano che sono le epatiti i danni più comuni derivati dall’assunzione sotto ogni forma della stessa. L’età in cui si sono verificati decine e decine casi vanno da 11 a 72 anni ed in alcuni di questi si trattava di epatite fulminante.
Le sostanze presenti sono dotate di un potente effetto farmacologico e tossico: teucrioresina, scutellarina, colina, tannino, ed un’essenza di colore giallo che contiene pinene, canfene, borneolo, cariofillene.
Per il suo fondo amaro veniva usata per la preparazione di liquori stomachici, nell’industria del vermouth o amari in genere. Fra le varie sostanze colpevoli dell’epatotossicità sono i “diterpeni neoclerodonici”. Questa composizione così pericolosa ha causato così il drastico abbandono di questa pianta per uso medicamentoso, e sarà solo il ricordo o la bella visione in fioritura di questa che dovrà colpire per il futuro l’occhio attento del curatore fai da te.